Quando si parla di arte del Seicento, nomi come Caravaggio, Gian Lorenzo Bernini, Guercino, Guido Reni sono all’ordine del giorno, noti praticamente a chiunque. Ma se dicessimo Lavinia Fontana? Oppure Giovanna Garzoni? O, ancora, Fede Galizia? Ciò che accomuna tutti i nomi citati è senz’altro l’amore e l’interessante contributo dato all’arte. Ciò che li separa, invece, è che i primi sono uomini e le seconde, chiaramente, sono donne. Artiste, quindi, di minore importanza, ostracizzate, non all’altezza, a prescindere da epoca, disciplina, formazione culturale, estrazione sociale o fortuna. Per secoli rimaste nell’ombra e oggi finalmente riportate alla luce, valorizzate grazie alla grandiosa mostra Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600, al Palazzo Reale di Milano, dal 5 febbraio al 6 giugno 2021.
Una mostra inserita nel palinsesto I talenti delle donne, un programma multidisciplinare dedicato alla creatività delle donne, promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano. Il pregio è dato già dai curatori: Alain Tapié, direttore del Musée des Beaux-Arts di Caen e del Palais des Beaux-Arts di Lille, Anna Maria Bava, funzionario Storico dell’Arte del MiBACT, e Gioia Mori, titolare della cattedra di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Venezia. Con il sostegno di Fondazione Bracco, main sponsor, la mostra è interamente dedicata ad artiste attive a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. Sono state selezionate oltre centocinquanta opere pittoriche grazie alle quali verranno celebrate la biografia e la carriera artistica di trentaquattro incredibili protagoniste del rinascimento barocco, non solo la loro maestria ma anche il notevole ruolo sociale rivestito al tempo.
Artiste che spaziano dalle più celebri Artemisia Gentileschi o Sofonisba Anguissola alle meno note Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani, Fede Galizia, Barbara Longhi, Diana Ghisi Scultori, Orsola Maddalena Caccia, Giovanna Garzoni, Virginia da Vezzo, Plautilla Bricci, Ginevra Cantafoli. Ognuna recupera finalmente un merito troppo a lungo negato, la cui unica e assurda motivazione è l’essere nate donne, all’interno di un contesto culturale che indirizzava ogni branca del sapere unicamente nelle mani maschili. Dove le donne potenzialmente capaci venivano ostacolate fin dall’infanzia e quelle che ce la facevano erano viste con sospetto e ostilità.
Artemisia Gentileschi (Roma, 1593 – Napoli, circa 1656), nota caravaggesca, è divenuta ormai un’icona anche in riferimento alla travagliata esistenza e alla vicenda del processo per stupro che la vide protagonista. Figlia di Orazio, fu la prima donna a essere ammessa alla prestigiosa Accademia del disegno fiorentina. Assorbita la lezione di realismo del Merisi, seppe distinguersi tramite una pittura potente, caratterizzata da una forte drammaticità, come mostrato in Giuditta con la sua ancella (1618-19).
E poi la cremonese Sofonisba Anguissola (Cremona, 1532 – Palermo, 1625), la prima donna nella storia a ottenere il riconoscimento internazionale come pittore, l’unica senza parentele artistiche. Grazie a un padre piuttosto progressista, studiò pittura e lavorò alla corte di Filippo II di Spagna, entrando in contatto con i più considerevoli ritrattisti spagnoli del tempo. Autoritratti, ritratti di famiglia e la celebre Partita a scacchi (1555), esposta in mostra, opere lodate anche da personaggi del calibro di Giorgio Vasari e Antoon van Dyck.
Di Lavinia Fontana (Bologna, 1552 – Roma, 1614) sono esposte quattordici opere, soprannominata la Pontificia Pittrice, poiché fu ritrattista alla corte di Papa Gregorio XIII. La sua carriera artistica ha spaziato tra soggetti sacri, biblici, mitologici, ritratti, pale d’altare e persino varie sculture, eccellendo per minuzia dei particolari e sensualità dei soggetti (Autoritratto nello studio).
Ennesimo esempio di ribellione ai soprusi e di coraggio femminile è Elisabetta Sirani (Bologna, 1638 – 1665), facente parte della Scuola bolognese, una prolifica officina italiana di artiste donne. Tra temi sacri, allegorici, eroine bibliche o letterarie, pare dipingesse spesso in pubblico al fine di sfatare i sospetti che non fosse lei l’autrice dei dipinti.
In mostra anche Giovane donna in vesti orientali di Ginevra Cantofoli (Bologna, 1618 – 1672), l’iconica Giuditta con la testa di Oloferne (1596) di Fede Galizia (Milano, 1578? – 1630) e, sorprendentemente, opere esposte per la prima volta, come la Pala della Madonna dell’Itria (1578) dell’Anguissola.
Le opere provengono da prestigiose sedi museali italiane e internazionali, quali il Museo di Capodimonte, le Gallerie degli Uffizi, la Galleria Borghese, la Pinacoteca di Brera, il Castello Sforzesco, la Galleria Nazionale dell’Umbria, i Musei Reali di Torino, la Pinacoteca Nazionale di Bologna, il Musée des Beaux Arts di Marsiglia e il Muzeum Narodowe di Poznan in Polonia.
Una mostra assolutamente da non perdere, la cui eco rimanda a quella organizzata al Museo di Belle Arti MSK di Gent, dal titolo The Ladies of the Baroque, tenutasi tra ottobre 2018 e gennaio 2019. Donne che hanno in qualche modo riscritto la storia, dando il proprio contributo alla lotta contro disparità e differenze di genere. Autoritratti, ritratti, temi allegorici e nature morte, opere dall’intenso naturalismo e una carica espressiva che quasi sembra gridare tutta la loro rabbia e la forza di combattere contro l’autorità, di infrangere limiti imposti e stereotipi di una creatività unicamente al maschile. Di ricevere finalmente quel plauso che la storia non ha saputo, anzi, non ha voluto, riconoscere loro.