Se non fosse per le gigantografie affisse sugli autobus cittadini, per qualche spot malriuscito dei candidati politici o per la quantità di meme creati quasi senza volerlo, probabilmente la maggioranza delle persone non si sarebbe neppure accorta che il prossimo 8 e 9 giugno siamo chiamati alle urne per le elezioni del Parlamento europeo. Si tratta di individuare i 76 candidati che formeranno la delegazione italiana in Europa che potrà così rappresentare il nostro Paese nell’ambito del principale organo legislativo dell’Unione.
L’individuazione degli eurodeputati avviene, in base ai Trattati, con un metodo proporzionale e collegato alla dimensione demografica degli Stati membri (seppur con accorgimenti necessari a garantire la rappresentatività anche di Paesi molto piccoli) e sI basa su ventisette leggi elettorali diverse: questo rende il meccanismo un po’ farraginoso e poco comprensibile, soprattutto in Paesi come il nostro in cui certe cose sembrano non essere chiare neppure a chi viene eletto. Basti pensare che addirittura l’età minima per votare cambia da Paese a Paese, così come alcune modalità, la suddivisione in circoscrizioni, la possibilità di esprimere preferenze o la presenza di una soglia di sbarramento (che nel caso dell’Italia è del 4%).
Per quanto riguarda il ruolo del Parlamento europeo, quando parliamo di organo legislativo dobbiamo innanzitutto sgomberare il campo dalla facile sovrapposizione tra le funzioni attribuite al nostro Parlamento e a quello comunitario. L’istituzione europea, infatti, non si occupa di fare le leggi in senso stretto: non ha un potere di iniziativa legislativa, che è detenuto invece dalla Commissione Europea (organo esecutivo) a cui il Parlamento può proporre l’iniziativa su alcune tematiche. Le proposte possono essere approvate o respinte dal Parlamento e dal Consiglio, che hanno un ruolo prioritario anche nell’approvazione del bilancio. Il peso dei due organi varia da procedura a procedura e dalla possibilità che sia prevista una consultazione o un loro parere vincolante.
Venendo all’Italia, probabilmente tra i nomi più sentiti in questa sfuggente campagna elettorale ci sono quelli di candidate come Giorgia Meloni o Elly Schlein, personaggi riconoscibili dall’opinione pubblica che però, in base alla Costituzione, se eletti, non potrebbero ricoprire contemporaneamente il loro ruolo nazionale e quello europeo. Chiaramente, è difficile che rinuncino al loro mandato a favore di quello comunitario, come esse stesse hanno dichiarato, affermando però di volerci mettere la faccia in questa tornata elettorale.
Insomma, più che volerci mettere la faccia, come già accaduto in passato, il tentativo è quello di accaparrarsi voti più facili rispetto ad altri volti meno noti: le preferenze espresse nei loro confronti, infatti, vengono riassegnate al candidato o alla candidata della stessa lista che abbiano ricevuto più voti tra quelli non eletti. Questo è uno dei tanti esempi di mancanza di comunicazione istituzionale chiara, oltre che di una vera e propria educazione al voto.
Tra le cose che ci ricorderemo di più di questa campagna elettorale ci saranno forse i manifesti ridicoli (si fatica a definirli diversamente) della Lega in cui si promette agli italiani di “difendere la loro casa e le loro auto” (che significherà mai?), si accusa l’Europa di farci bere in modalità poco confortevoli, si utilizza l’AI per creare immagini di uomini barbuti incinti o si usano senza consenso foto di donne che dovrebbero servire a dimostrare l’indipendenza delle europee (ovviamente bianche e cristiane): solo alcuni degli esempi di buffi tentativi di arraffare consensi, insieme a balletti, cheerleader a sostegno di candidate leghiste, tiktoker improvvisati, lotta ai grilli e inviti a segnare una Decima sulla scheda, alludendo alla XMas. Tutti uniti alla possibilità di votare per un defunto, scrivendo “Berlusconi” sulla scheda a favore di Forza Italia.
A guardare i programmi elettorali però si leggono solo parole vaghe e superficiali, che spesso poco hanno a che vedere con i temi europei più importanti, tra cui la crisi climatica o argomenti affrontati in maniera centrale in altri Stati come Francia e Germania, quali ad esempio il ruolo della Cina o la difesa comunitaria.
Per la transizione energetica la scusa nella maggior parte dei casi è che non si tratta di misure fattibili e che le risorse non ci sono: peccato che questa risposta non venga mai data per la corsa agli armamenti, che invece perseguiamo con tanto zelo e impegnando risorse che in uno Stato sociale dovrebbero essere utilizzate per ben altro.
Di noi si parla poco anche altrove e i nostri rappresentanti politici preferiscono attecchire sull’opinione pubblica presentando temi che dovrebbero essere superati e in cui le parole d’ordine inflazionate sono sovranità, industrializzazione e lavoro, spogliate di qualsiasi serio contenuto. Sullo sfondo rimangono i diritti civili, la parità di genere, la terribile erosione delle misure di welfare o l’aumento terrificante della povertà assoluta.
Se da un lato queste vacue parole riescono comunque a soddisfare parte dell’opinione pubblica, sostenendo imprenditori e ricchi, e fomentando sentimenti di odio repressi, non è difficile immaginare quanto larga parte dei cittadini si senta sfiduciata e anche disincentivata al voto, come dimostra la diminuzione dell’affluenza alle urne. Che sia questa la società che siamo diventati? Una società in cui non è possibile informarsi senza trovare di fronte a sé dibattiti e attacchi politici basati sul nulla?
Intanto anche l’Europa rischia di spostarsi sempre più a destra, andando incontro a derive autoritarie che permettono così la permanenza nell’Unione di Stati come l’Ungheria, che porta avanti politiche discriminatorie e razziste. È compito nostro assumerci la responsabilità di queste scelte e dell’assetto che assumeranno le istituzioni che ci rappresentano.
Odio gli indifferenti
Credo che vivere voglia dire essere partigiani.
Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano.
Votiamo, e soprattutto, votiamo bene.