Siamo fatti di energia. L’essere umano, oggi, si nutre di energia, se ne serve per svolgere qualunque attività e ne è diventato, inevitabilmente, dipendente. Sembra l’incipit di un romanzo di fantascienza dal tratto distopico, ma è invece la descrizione della nostra realtà. L’energia è il bene primario più prezioso di cui le società occidentali dispongono e senza il quale non potrebbero vivere. Più dell’acqua, più del cibo, più di un tetto sulla testa di ogni cittadino, perché senza di essa non saremmo in grado di procurarci alcuno dei beni di cui abbiamo biologicamente bisogno. L’energia pervade ogni aspetto della nostra vita e, oltre che con le bombe e con i missili, è con l’energia che oggi si fanno anche le guerre.
Il tema dell’approvvigionamento energetico è stato fondamentale nell’analisi della guerra tra Russia e Ucraina per numerosi motivi interni ed esterni al conflitto. Appena due settimane fa, quando l’Europa si è svegliata assonnata in quel giovedì spaventoso e si è ritrovata le bombe fuori la porta di casa, il tema è diventato subito centrale. Per l’Italia soprattutto, che dipende energeticamente dalla Russia, il bisogno di intervenire per provare a porre un freno al conflitto attraverso l’imposizione di sanzioni si è scontrato con l’incapacità di rinunciare alle importazioni di gas. Lo Stivale dipende, infatti, per il 38% del suo intero fabbisogno di gas – quello che serve per scaldare le case e per cuocere i cibi – dai 29 miliardi di metri cubi che importa dalla Russia. È per questo motivo che l’imposizione di alcune delle sanzioni non è stata immediata, poiché bloccare determinati scambi commerciali o impedire certi pagamenti avrebbe lasciato l’Italia al freddo.
Le importazioni di gas russo non riguardano solo il nostro Paese, poiché esso rappresenta il 47% del fabbisogno europeo. Se, dunque, le sanzioni sono uno dei pochi strumenti che possono essere effettivamente utilizzati dagli altri Stati per tentare di mitigare il conflitto, le loro eventuali conseguenze nei confronti di quegli stessi Paesi è stato un ostacolo. Tra l’altro, anche evitando di applicare sanzioni su petrolio e gas, resta il rischio che sia lo stesso Putin a ridimensionare gli accordi a riguardo come reazione alle sanzioni subite. Questo scenario, a oggi, sembra però poco probabile, e anzi suggerisce qualcosa che facciamo fatica ad accettare.
Se fino a ora tale decisione non è stata ancora presa, probabilmente significa che le sanzioni imposte alla Russia, unite al fatto che numerosissime aziende e società di vario tipo stiano interrompendo i loro affari nel Paese, stanno pesando enormemente al dittatore russo. Dopotutto, è molto strano che, dopo le minacce sull’uso di armi nucleari e sulle conseguenze che l’intervento di altri Paesi avrebbe comportato, Putin non abbia immediatamente risposto chiudendo i rubinetti. Dunque, se non è accaduto ancora, è probabile che non accadrà.
D’altro canto, però – e su questo punto pare che molti non abbiano voglia di aprire gli occhi – se gli scambi commerciali di gas e petrolio con l’Europa sono così essenziali per l’economia russa in questo momento, e se le promesse cinesi di intervenire acquistando quote delle società russe non sono bastate per chiudere i rapporti commerciali con l’UE, forse sono proprio quelle le sanzioni che potrebbero fare la differenza, perché si tratta di accordi di cui Mosca evidentemente non può fare a meno.
In queste settimane si è parlato molto di quanto le azioni dei Paesi esterni al conflitto siano state sbagliate o inefficaci. Le sanzioni mancate, le sanzioni imposte ma comunque inutili, il modo in cui sono stati forniti gli aiuti, la decisione di fornire armi o di investire più del previsto nella difesa. Non si parla, però, dell’effetto concreto che le sanzioni possono avere, del fatto che nessun Paese sia mai stato sanzionato così tanto e che, per quanto il benessere di pochi oligarchi non potrà essere compromesso, è difficile che le decisioni di chi comanda continuino indisturbate se l’economia dell’intero Stato collassa. Scegliere le sanzioni giuste, allora, con tutti i sacrifici che comportano, potrebbe avvicinarci alla soluzione più di quanto crediamo. Eppure, al momento, ci risulta impossibile rinunciare all’energia russa.
Legate al tema dell’approvvigionamento energetico sono anche le conseguenze che oggi già viviamo a causa del conflitto in atto. Se il prezzo di gas ed energia era già quasi raddoppiato a inizio anno, ora non farà che peggiorare. Ma se le bollette di luce e gas ancora non sono arrivate nelle case degli italiani, c’è un altro fattore che invece rende chiarissimo l’aumento dei costi: il petrolio. La benzina, nel corso delle ultime settimane, ha visto salire enormemente i propri costi, e oggi fare un pieno equivale a circa cento euro. Ma che tutte le fonti di energia diventino sempre più care è un problema molto più grande di quanto si possa immaginare.
Non si tratta solo delle difficoltà degli individui che devono rinunciare a scaldare le case o ad andare a lavoro con l’auto. Questa cosa esiste già, è la povertà energetica, che finora ha riguardato quasi il 9% delle famiglie italiane. Ma l’aumento dei prezzi non renderà solo le case fredde e non impedirà solo a molta gente di andare a lavoro – perché sì, purtroppo non tutto il territorio italiano è dotato di infrastrutture tali da permettere di muoversi con i mezzi pubblici. Se il costo dell’energia aumenta, molte fabbriche – che producono stipendi e magari beni di prima necessità – non saranno in grado di funzionare, perché l’analisi costi-benefici sarà sfavorevole alla produzione. Allo stesso modo, molti dei mezzi che trasportano il cibo da un luogo all’altro dell’Italia non saranno più in grado di fare rifornimento, e non sapremo più come riempire i nostri supermercati.
Insomma, dall’energia dipendiamo terribilmente e, come ogni società contemporanea, senza non possiamo vivere. Senza di essa non ci sono stipendi, non c’è cibo sugli scaffali e non c’è calore nelle case. Senza energia non possiamo comunicare e, in sostanza, non possiamo vivere. È per questo motivo, per l’inequivocabile dipendenza delle nostre società da questa nuova linfa vitale, che sono stati proprio i luoghi che la producono i primi a essere presi di mira dalla strategia russa contro l’Ucraina. Prima di bombardare gli ospedali pediatrici, prima ancora di sparare sui civili convinti di trovarsi in corridoi umanitari, prima di togliere effettivamente la vita alle persone, Putin ha tolto loro la linfa vitale. Ha attaccato le centrali elettriche, ha distrutto le riserve e ha colpito le antenne. Non l’ha fatto per risparmiare le persone ma, se possibile, per colpirne di più.
Usare un missile per colpire un edificio ucciderà un numero limitato di persone che va da chi si trova all’interno della struttura a chi si muove nelle immediate vicinanze. Con lo stesso dispiego di forze, abbattere i cavi che portano energia ucciderà molti più cittadini, perché diverranno incapaci di procurarsi il cibo o di comunicare con il mondo esterno.
Ora, invece di avviare dissertazioni filosofiche su come abbiamo fatto ad allontanarci dalla natura tanto da dipendere dalla tecnologia anche solo per mangiare, dimenticando che l’uomo è l’animale che, per natura, crea tecnologia, pensiamo alle conseguenze pratiche di tutto ciò. Prima di tutto, siamo così dipendenti dall’energia importata ma così poco lungimiranti sull’energia pulita che probabilmente finiremo per causare ancora più danni ambientali di quelli a cui già non stavamo tentando di rimediare con particolare convinzione. Non solo perché qualcuno ha rimesso sul tavolo la possibilità di riaccendere le centrali a carbone, ma anche e soprattutto perché probabilmente, per rimediare alla mancanza del gas russo, finiremo per comprarlo dagli Usa. E dato che non esistono gasdotti transatlantici, saranno le cisterne, che funzionano a combustione, a fare avanti e indietro per l’Oceano.
In più, la transizione ecologica, per la quale non ci stavamo impegnando poi così tanto, inevitabilmente rallenterà ulteriormente. Se solo avessimo pensato di costruire gli impianti per le energie rinnovabili, adesso non ci troveremmo in questa situazione. Ebbene, non potevamo prevedere questa emergenza, eppure ce n’è già un’altra – quella climatica – che pende sulle nostre teste che non ci ha convinti a costruire quelle infrastrutture prima che fosse troppo tardi. E ora che dobbiamo rinunciare al gas prima del previsto, non abbiamo il tempo di costruire granché e, in più, siamo in piena crisi da carenza di materiali. Insomma, se quello che non potevamo prevedere non è colpa nostra, le cose che invece abbiamo consapevolmente rimandato sono molte di più.
Per essere un bene così indispensabile per la vita degli esseri umani, sull’energia è davvero troppo difficile mettere tutti d’accordo. Mettere toppe, adesso, non serve a molto. Stanziare altri aiuti per un prezzo che era già troppo alto prima, fissare un tetto massimo al prezzo del gas che potrebbe pure smettere di arrivare, o addirittura ridimensionare quelle tanto discusse accise sulla benzina se il carburante dovesse diventare irreperibile, non servirà a molto. Ciò che è certo è che questa guerra non sta solo uccidendo le persone – in modi, tra l’altro, che sono difficili da guardare – ma sta modificando molto velocemente gli equilibri globali, mettendo a rischio la sopravvivenza di molti.
Quale sia la soluzione io non lo so. So che lamentarci su ciò che avremmo dovuto fare non aiuta nessuno, ma ricordarlo per il futuro dovrebbe essere un modo per non ricommettere gli stessi errori, e credo fortemente che invece non accadrà. So che forse non esiste un modo per fermare questo conflitto, per porre fine alle violenze e per salvare quelle vite date ormai per spacciate, ma sono certa che quello che stiamo facendo non è tutto, non è abbastanza. So che per gestire una crisi serve cooperazione internazionale, serve buonsenso e serve mettere da parte i profitti dei singoli per il bene comune. E visto che da una crisi stavamo appena uscendo, so già che queste cose non le faremo.