Dal 10 al 14 gennaio 2024 è andato in scena presso il Teatro Bellini di Napoli lo spettacolo scritto, e originariamente anche interpretato, da Annibale Ruccello Le cinque rose di Jennifer (prima assoluta nel 1980 presso il Na Babele Theatre di Napoli). La nuova edizione, portata sul palco per la prima volta nel 2019, è diretta da Gabriele Russo, regista, direttore e consulente artistico del teatro. L’attore principale, colui che interpreta Jennifer, è suo fratello, Daniele Russo, quello “secondario” che interpreta Anna è Sergio del Prete.
L’opera teatrale racconta la storia di Jennifer, un travestito solo e romantico che vive in un quartiere popolare di una Napoli degli anni Ottanta, precisamente il Via del Cespuglio, una via che in realtà non esiste, ma che io ho immaginato essere come il corrispettivo di una stradina del quartiere Luzzatti (l’indizio a cui faccio riferimento è il quartiere nuovo in cui le linee telefoniche sono in via di costruzione, quindi mi appare improbabile che Ruccello si riferisse al centro storico). Jennifer aspetta una telefonata importantissima, una telefonata di Franco, ingegnere di Genova che ha conosciuto tre mesi prima in discoteca e col quale, pare, sia nato un affaire. Ma Franco non chiama.
Al suo posto, a causa di un disguito telefonico come dirà la stessa Jennifer, il telefono del suo appartamento intercetta le chiamate di altre persone, uomini che cercano donne, stalker che la tormentano, dottori e avvocati che sbagliano numero. Da principio Jennifer dà l’impressione di essere stizzita da queste interferenze – d’altra parte lei non può tenere la linea occupata, Franco telefonerà prima o poi – ma, nemmeno troppo velatamente, il pubblico capisce che si sente sola, che fa di tutto per trattenere quelle persone all’altro capo del telefono.
Nel frattempo, in una bellissima scenografia in stile boudoir costruita per scenette – un tavolino col telefono e un vaso pieno di rose, un divano di velluto rosso, una toeletta per il trucco, la radio adagiata su un tavolino di legno – va la musica, vero fil rouge della rappresentazione. Jennifer ascolta Radio Cuorelibero, una trasmissione che accoglie le dediche di tutti i travestiti del quartiere ai propri innamorati, Jennifer inclusa. La sua canzone prediletta, quella dedicata a Franco, è Se perdo te di Patty Pravo. Tra un brano e l’altro, tuttavia, anche delle notizie di cronaca allarmanti, che lei ignora bellamente: nel quartiere gira un serial killer, molti travestiti sono stati trovati uccisi in casa propria con un colpo di pistola alla bocca e cinque rose rosse quale ultimo regalo.
Come seconda figura, quasi dapprima ignorata, gira intorno alla scena una specie di fantasma, un Pulcinella oscuro: segue Jennifer, soffre, pare essere l’espressione fisica dei suoi tormenti, delle sue sofferenze. Vestito di nero, sempre defilato, imita le sue movenze, si veste, si spoglia, aleggia come un vero e proprio munaciello, lasciando interpretare al pubblico il senso della sua presenza.
Jennifer ride, piange, canta e balla, bestemmia, scherza, si cambia d’abito, indossa i tacchi, si tocca, prova piacere. Il cerone che mette in faccia rivela e nasconde la sua personalità, le canzoni, di Mina, di Patty Pravo, di Milva, di Orietta Berti, accompagnano il suo essere sola. Già, perché in scena entra davvero un terzo personaggio invisibile: la solitudine. Nonostante la sua allegria, la sua esuberanza, il modo di sdrammatizzare, la storia di Jennifer ci parla di alienazione sociale, di emarginazione.
Anche quando arriva Sergio Del Prete che interpreta Anna, un altro travestito del quartiere che ha per sola compagna di vita una gatta di nome Rusinella, Jennifer sottolinea che è l’unica a essere davvero innamorata, che il suo Franco è bellissimo, che lei deve restare sola perché sta davvero per arrivare da un momento all’altro. Certo, le confidenze tra le due sono anche divertenti, Jennifer è spassosa, nel suo dialetto colorato e sboccato, ma ci si chiede: questo Franco esiste? E se esiste le ha davvero promesso che avrebbe chiamato?
Il dubbio è legittimo. Come interpretare poi la questione del serial killer? E la scena in cui Anna torna da Jennifer disperata perché Rusinella è stata uccisa da qualcuno, forse proprio dall’assassino dei travestiti? Ci sono vari modi di decifrarla, o forse no, perché il finale riserva molte sorprese.
Per gusto e ricerca personali, la tematica mi è molto cara: Jennifer è un personaggio ibrido, sensuale, conturbante, a cavallo tra i generi. Possiede un’anima ovviamente sfaccettata e una malinconia contagiosa. Il modo in cui Ruccello ha scelto di sviluppare il personaggio è di per sé un’opera d’arte: allegro e triste, esuberante e depresso, ironico e profondamente sofferente, riesce a racchiudere in sé quella contraddizione genetica di personaggi queer come i “travestiti” o le donne trans contemporanee, ricordandomi moltissimo altri personaggi letterari simili, come la Fata dell’angolo di Ho paura torero di Pedro Lemebel e Rosalinda Sprint di Scende giù per Toledo di Patroni Griffi. Tutte e tre vivono di pizzi e volants, in case coloratissime, elemosinando l’amore di qualcuno che non si sa se le ricambia o meno. In questo caso, tutto viene arricchito da un dialetto napoletano vibrante, commovente.
Lo spettacolo verrà ripetuto – un’altra versione diretta da Geppy Gleijeses e con Geppy Gleijeses e Lorenzo Gleijeses – al Teatro Sannazaro di Napoli dall’8 marzo al 17 marzo 2024, per chi non avesse avuto la possibilità di vederlo al Teatro Bellini. Il mio consiglio è di recuperarlo.