Alzi la mano chi, venerdì scorso, non ha trascorso il pomeriggio tra i corridoi di un centro commerciale, tra gli scaffali di un fornitissimo megastore di elettronica o, alla peggio, consultando in maniera quasi compulsiva i siti internet delle più grandi compagnie di e-commerce al mondo, da Amazon – la più amata – fino a quelli delle compagnie aeree low cost, pronto ad approfittare di uno degli incredibili sconti pre-natalizi dell’ormai famoso Black Friday.
Quello che è, a tutti gli effetti, una vera e propria Epifania del consumismo 3.0, frutta ogni anno miliardi di dollari, euro, yen, alle aziende che aderiscono all’iniziativa lanciata – manco a dirlo – negli Stati Uniti nel 1924 dalla catena di distribuzione Macy’s ed esplosa sempre oltreoceano negli anni Ottanta. Nel 2013, nel corso del venerdì successivo al Giorno del Ringraziamento, negli USA, furono spesi circa cinquantotto miliardi di dollari da più di ottanta milioni di persone, come se l’intera popolazione della Germania si fosse recata a fare acquisti nella stessa giornata.
Anche l’Italia, seppur in netto ritardo sui principali Paesi mondiali, è stata contagiata dal virus dello shopping a tutti i costi, preferendo, secondo le statistiche, i negozi virtuali a quelli che animano strade e centri commerciali. Il sito di amazon.it registra, ormai ogni anno, milioni di contatti, con altrettanti acquisti che mobilitano la sede di Pescara del colosso di Seattle.
Proprio lo stabilimento abruzzese, lo scorso weekend, si è reso protagonista di una protesta dei lavoratori che ha quasi monopolizzato le cronache dei principali quotidiani italiani e non, sulla scia delle agitazioni che animavano la capitale tedesca, Berlino. Le ragioni dello sciopero dei dipendenti dell’azienda sono da ricercarsi nelle modalità di lavoro a cui le migliaia di persone sotto contratto con Amazon sono costrette quotidianamente, anche se – in via ufficiale – è lo stipendio di 1450 euro lordi mensili, ritenuto non adeguato, il reale motivo del contendere che ha rischiato di mandare in tilt il Black Friday tricolore.
Già in passato, testate autorevoli come Linkiesta o L’Espresso avevano tentato di portare alla luce le difficili condizioni che scandivano le giornate lavorative delle migliaia di impiegati presso il centro di raccolta di Pescara, dimostrando che, per queste ultime, ogni giorno è un giorno nero.
Ansia, depressione e attacchi di panico. E, ancora, dolori alla schiena, alle mani, alle articolazioni. Sono questi i problemi più frequenti riscontrati nei numerosi operai che ogni giorno, su tre turni da otto ore, sette giorni su sette, affollano lo stabilimento di Castel San Giovanni, in una catena di montaggio perfetta che non concede tempo alle distrazioni, alle chiacchiere tra colleghi, spesso neanche alle pause per il bagno. Velocità è la parola d’ordine, il controllo da parte delle telecamere e dei manager in braccia conserte l’occhio vigile a cui non sfugge alcun atteggiamento lezioso che rischi di rallentare la produttività dell’azienda.
Sono oltre trecento i prodotti delle grandi case di produzione – dai libri, ai dischi, fino agli elettrodomestici e i capi d’abbigliamento – che, ogni ora, vengono scaricati sui nastri da decine e decine di camion. Tutto viene schedato dalle pistole laser degli addetti al controllo, poi trasferito sugli scaffali dai runner, letteralmente di corsa, senza sosta.
Il ricatto, stando a quanto riportato dai colleghi sopracitati, sta nella valutazione del proprio rendimento, dalla possibilità di guadagnare benefit e l’opportunità di progredire in quella che appare, invece, una carriera senza alcuna possibilità di sviluppo, un tunnel buio senza via d’uscita.
Tutti devono avere il cartellino sempre visibile per essere riconoscibili, raccontano a Linkiesta. C’è l’ossessione della produttività. È stressante, non ti puoi mai fermare perché sei sempre monitorato, e quindi eviti di andare anche in bagno. Se hai raggiunto il 50%, ti fanno una lettera di richiamo. Dopo la seconda o la terza, ti licenziano. Se sei arrivato all’80-85%, il manager ti convoca, ti dice di andare più veloce, con frasi del tipo “Se non raggiungi gli standard ne va del tuo futuro”. Diventi uno dei loro robot.
Ai colleghi de L’Espresso, lo scorso aprile, Francesca Benedetti, segretario della Fisascat di Parma-Piacenza (la sigla per addetti ai servizi commerciali e del turismo della Cisl) così dichiarava: Un buon 80% delle contestazioni disciplinari è relativo ai tempi di percorrenza, nonostante gli ambienti siano smisurati. E le pressioni, spesso stupide e pretestuose, rappresentano la norma. Purtroppo aumentano i casi di lavoratori che a furia di subire vessazioni e umiliazioni a un certo punto perdono la testa e mandano tutti al diavolo. Pentole a pressione che scoppiano. […] Esistono figure pagate proprio per questo: per farti andare di matto. Agenti provocatori. Zelanti professionisti della prevaricazione psicologica. Cani da guardia, kapò che trascorrono la giornata a verificare che nessuno prenda un caffè, si faccia una passeggiata, vada in bagno per più di un minuto.
La lente di ingrandimento sotto la quale la situazione viene costantemente monitorata dai sindacati che cercano di coinvolgere la maggior parte dei lavoratori a tempo indeterminato così come i precari, meno avvezzi alle movimentazioni a causa del carattere saltuario del proprio impegno, riscontra, però, un atteggiamento restio a far valere i propri diritti, soprattutto tra i più giovani, non abituati alla presenza di quelli che fino agli anni Novanta erano i principali rappresentanti della maggioranza dei dipendenti statali e privati. Sono i ragazzi, infatti, in media attorno ai trent’anni, la fetta più ampia della forza lavoro della multinazionale a stelle e strisce spesso raccontata dalle cronache giornalistiche per le elusioni nei confronti del fisco.
Le reazioni della politica di casa nostra non sono, ovviamente, mancate. Quella del Segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, ha assunto toni vaghi, quasi spaesati, un modus operandi sinceramente fastidioso a fronte del problema: Non conosco la vicenda Amazon, se scioperano avranno le loro ragioni. In generale in Italia c’è un problema di salari.
Di tutto altro avviso, come è logico aspettarsi, è stata la dichiarazione affidata ai canali social dal Segretario di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo. Il giovane attivista, anche lui nativo della città abruzzese, dopo aver allontanato ogni possibile coinvolgimento del suo schieramento con quell’ala della sinistra che in passato ha strizzato già l’occhio al PD e non esclude future alleanze sui programmi ancora, però, da stilare, marca la distanza tra la frangia estrema e quella centrista anche in questo caso: Lo sciopero di lavoratrici e lavoratori della Amazon merita massimo sostegno concreto. Se l’azienda può sostituire chi sciopera con lavoratori interinali e somministrati, i consumatori possono punire l’arroganza della multinazionale boicottando gli acquisti. Un modello per cui il lavoro diventa sempre più low cost per le imprese anche laddove i margini di profitto sono elevatissimi produce una società sempre più povera, ingiusta e imbarbarita.
Ogni giorno è un Black Friday per i dipendenti di Amazon e per tutti gli operai delle grandi distribuzioni. Ogni giorno è un Black Friday per quegli uomini che, superata l’età della gioventù, sono costretti a turni massacranti che pesano sulle proprie ginocchia quanto sui propri nervi. Ogni giorno è un Black Friday per chiunque sia costretto a portare a casa uno stipendio al minimo salariale pur di garantire un piatto di pasta, mentre il padrone compra la terza mega villa al mare. Ogni giorno è un giorno nero per i lavoratori calpestati nei diritti e nell’orgoglio, per i lavoratori che la politica ha scordato dietro ai cancelli delle fabbriche e poi raccolto sull’orlo della disperazione con le proprie promesse da perenne campagna elettorale. Per chi dal lavoro si è fatto strappare forze, sogni, futuro e sorrisi.