C’è un programma, nel bruttume della televisione italiana, che unisce intere famiglie di fronte al tv, che abbraccia nonni e nipotini per qualche ora, giovani vite sedute su gambe stanche ma ancora forti, che riporta la mente di mamma e papà a qualche anno prima, alle canzoni che li hanno segnati. Crea un momento magico, ferma il tempo, cancella il mondo esterno e colora tutto con i suoi toni sempre vivaci. È lo Zecchino d’Oro, la manifestazione canora per piccini più bella, dolce e famosa d’Italia, ormai giunta alla sessantesima edizione.
Tra le canzoni in gara, intonate dal meraviglioso Coro dell’Antoniano di Bologna, si è distinta, quest’anno, una tenera melodia che pare appartenere a un pianeta diverso, uno spazio simile a quello che abbiamo sempre sognato, un mondo, appunto, di bambini.
Non esistono le differenze, e i problemi, come da noi intesi, sono punti di forza, motivo d’unione e comunità. L’anisello Nunù, dello stabiese Carmine Spera, è la vera rivelazione di questa edizione, la vincitrice annunciata a cui non è stato, però – purtroppo, aggiungiamo noi –, assegnato lo scettro, un capolavoro in musica che ha raccontato, con delicatezza e un pizzico di magia, il problema della dislessia.
Non poteva immaginare, Spera, che quel suo piccolo gioiello di note e parole diventasse presto fonte di speranza per tante persone afflitte dal disturbo, un vero e proprio inno volto alla sensibilizzazione.
Come l’anno scorso, abbiamo raggiunto l’autore campano per farci raccontare l’emozione del giorno dopo, di quella vittoria sfumata, di quel rapporto con Nicole, la bimba che ha prestato la voce a Nunù, della responsabilità di essersi fatto portavoce di un messaggio che guarda a un domani migliore.
Carmine Spera, quinta volta allo Zecchino d’Oro, ancora un secondo posto. Dispiace aver sfiorato una vittoria che sembrava potesse arrivare?
«È la quinta volta che partecipo ma, in realtà, con sette canzoni. Come quest’anno, anche nel 2012, avevo due pezzi in gara. Sinceramente, sono rimasto dispiaciuto solamente per qualche minuto, poi ho realizzato che classificarmi al secondo posto, dietro al mio amico Stefano Rigamonti, potevo considerarlo comunque un grandissimo traguardo. Sai, pur di partecipare a questa edizione avrei firmato anche per giungere ultimo e, invece, ero lì a giocarmela addirittura con una doppia opportunità. Di cosa dovrei lamentarmi?»
L’anisello Nunù: da dove nasce l’idea?
«Miriam, la mia nipotina, mi disse: Zio ho visto un anisello. Mi contagiò la sua gioia, partì tutto da lì. Pensai subito a un personaggio per una canzone.»
Ci racconti il rapporto con Nicole, la bambina che canta le tue parole? Sembrate il binomio perfetto.
«Il rapporto con i bambini che cantano i miei testi è sempre speciale. Così come diventa speciale con i loro genitori e anche con qualche nonno. In effetti, nel momento in cui scrivo una canzone nasce come mia, ma dal momento che un piccolo interprete la canta, diventa automaticamente nostra. L’anisello Nunù è mia e di Nicole, una bambina dolcissima. Pochi, però, sanno che se non le avessi portato l’asinello che avevo postato in una foto su Facebook, alla finale avrebbe cantato un’altra canzone.»
L’anisello Nunù purtroppo non ha vinto, ma è comunque il brano più ascoltato su YouTube, il più chiacchierato dai giornali. Senti la responsabilità di aver creato un inno che dà voce alle persone con dislessia?
«Considerando che è online da poco, abbiamo tantissime visualizzazioni, è vero. Più che responsabile, mi sento incredulo. Non pensavo che con una canzoncina potessi fare tanto. La sera che abbiamo vinto la puntata ho trovato un post sui social con la scritta Ha vinto Nunù, hanno vinto i bambini con i DSA! e ho pianto.»
Qual è la cosa più bella che ti resta dopo questa sessantesima edizione?
«I messaggi dei genitori che mi ringraziavano. Non lo dimenticherò mai.»