L’amore ai tempi del colera è il titolo di uno dei romanzi più noti di Gabriel García Márquez. Nella vicenda narrata dallo scrittore colombiano, il protagonista, Florentino Ariza, vede il suo amore per la bellissima Fermina Daza contrastato dal padre di lei. Lorenzo Daza, infatti, mira a far sposare la figlia con un uomo ben più importante di un semplice telegrafista, quale è Florentino, mosso da importanti ambizioni di ascesa sociale. Così l’uomo riesce ad allontanare la giovane che, a malincuore, sposerà, invece, Juvenal Urbino, un medico di grande fama in città, conosciuto da Fermina durante una visita perché sospettata di aver contratto il colera. A seguito di questo allontanamento, i due protagonisti vivranno le loro vite separatamente, ma alla fine del romanzo, dopo cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese – il periodo di attesa contato dal povero Florentino – riusciranno a ricongiungersi e a concedersi un ultimo periodo di felicità, coronando il loro amore, sempre serbato in cuore, in età matura.
La strepitosa penna del Premio Nobel colombiano, in questo romanzo, ci ha restituito in maniera intensa quella che è una storia di altre storie e che da sempre permea il mondo: l’amore contrastato.
Ai tempi del colera, per l’appunto, era l’ingerenza delle famiglie, soprattutto dei padri delle fanciulle, a rovinare gli idilli per una preminente ragione d’onore. Oggi, invece, almeno in linea teorica e almeno presso la nostra cultura, il veto per così dire patriarcale è, o quantomeno dovrebbe essere, superato. Vi è, piuttosto, un’altra ragione di ordine sociale a compromettere gli amori e i legami della nostra generazione: parliamo della precarietà economica, purtroppo un limite crescente nella stabilità affettiva delle persone. Per tale motivo, forse in maniera un po’ forzata ma efficace, si potrebbe quasi riprendere e applicare a questa condizione il titolo di Márquez e mutarlo in L’amore ai tempi della crisi.
Allo stato attuale, infatti, con tassi di disoccupazione giovanile che toccano percentuali ben oltre il quaranta per cento, è sempre più difficile pensare di poter trovare un lavoro stabile e di conseguenza potersi permettere il desiderio di costruire una realtà di coppia che possa sfociare in un nucleo familiare. Dinanzi a queste preoccupanti problematiche, poi, la politica pare del tutto atrofizzata e incapace di proporre soluzioni di ampio spettro.
È notizia di pochi giorni fa quella dell’erogazione, grazie alla legge di Bilancio del 2017, del cosiddetto bonus mamma, che prevede un beneficio economico di ottocento euro per tutte le neo madri che ne facciano richiesta, indipendentemente dal reddito. Partendo dal presupposto che il denaro è sempre utile, la misura – come in generale tutti i bonus sdoganati in questo periodo – risulta essere un contentino non idoneo a rispondere alle esigenze reali delle madri italiane. Le donne e i bambini in questo Paese hanno bisogno di altro e chi ci governa pare non riuscire a capirlo. Del resto, sullo scranno del Ministero della Salute siede, a esibire spudoratamente le sue fallacie conoscitive, una non laureata Lorenzin, con i suoi scandalosi Fertility day.
Come dicevamo, la disoccupazione e la precarietà, soprattutto femminile e giovanile, sono ai massimi storici, ed è del tutto evidente che è in realtà questa la principale causa del calo demografico sulla quale bisognerebbe agire, anziché fare discutibili campagne comunicative contro le responsabilità dei presunti costumi corrotti nella visione catto-bigotta. Dipoi, non ci sono servizi pubblici, asili, strutture di sostegno adeguate e i tagli agli enti pubblici hanno letteralmente stroncato il welfare familiare. È alquanto ridicolo, dunque, che dinanzi a tutto questo il governo pensi di cavarsela con un bonus.
Viviamo in un vero e proprio disastro che esprime una società dove, come sapientemente tratteggiato dal Professor Umberto Galimberti, prevalgono gli egoismi e non si ha più la voglia di assumersi la responsabilità di sostenere altre persone accanto.
Mi si accusi anche di essere un vetero-comunista, ma se vogliamo capire a chi giova tutta questa instabilità generale e la crisi economica e affettiva, dobbiamo andare a scavare nelle logiche sempre più spregiudicate del mercato. Ai neoliberisti, ai nuovi capitalisti del millennio servono uomini sempre più soli, senza intralci affettivi, e quindi con meno pretese e più disposti a concedersi al gioco al ribasso sui diritti e sulle tutele.
E allora se è vero che, come dicono le canzoni cantate anche sul palco del primo maggio, i baci fanno la rivoluzione, proviamoci a lottare, senza spargimento di sangue ma semplicemente facendo l’amore. Non armiamoci, come vogliono gli urlatori da social, ma amiamoci. Amiamoci contro il liberismo, amiamoci contro il capitalismo, amiamoci per i nostri diritti.
Etero, gay, transgender, amiamoci tutti e proviamo a costruire tante famiglie diverse e colorate, proviamo a costruire i nostri legami, i nostri personali welfare. Non indugiamo oltremodo, perché, per la salvezza della nostra generazione, non possiamo aspettare, come Florentino Ariza, cinquantatré anni, sette mesi e unidici giorni, notti comprese.