Era stata spregevolmente definita accozzaglia dal Partito Democratico quella trasversalità, da sinistra a destra, che aveva caratterizzato, lo scorso 4 dicembre, il fronte del No nel referendum sul tentativo di revisione costituzionale. Ora, però, lo stesso Pd, in Commissione Bilancio alla Camera dei Deputati, non ha disdegnato l’accozzaglia sulla pelle dei lavoratori, con il sostegno delle destre di Forza Italia e Lega Nord, ma anche di Ala-Sc e Ap.
Con un emendamento alla cosiddetta manovrina economica, grazie alle forze politiche sopra citate, sono stati, infatti, in buona sostanza reintrodotti, ma con un nome diverso, i voucher. Hanno invece votato contro Sinistra Italiana, Mdp – che sul tema si è discostato dal Pd – e Movimento 5 Stelle, mentre tre deputati vicini ad Andrea Orlando non hanno espresso la votazione.
I buoni lavoro, sdoganati nel 2015 con il Jobs Act del Governo Renzi, dinanzi alla prospettiva di un’altra sonora sconfitta referendaria, erano stati aboliti con un decreto del successivo, nonché attuale Governo Gentiloni, che ha giocato d’anticipo sulle proposte di voto della CIGL. Tuttavia, a quasi due mesi di distanza, in barba a milioni di firme che sono state raccolte per supportare i quesiti referendari sul lavoro che si sarebbero dovuti votare il 28 maggio – tra i quali appunto il riguardante la totale abrogazione dei voucher che, a differenza di quello sull’art.18, era stato dichiarato legittimo dalla Consulta – gli stessi vengono riproposti con un raggiro.
I sindacati hanno subito dichiarato che agiranno in tutti i modi per contrastare questa misura, innanzitutto con un ricorso alla Corte Costituzionale, e che, per il 17 giugno, ci sarà una grande mobilitazione di piazza a Roma. “Siamo profondamente sconcertati da un Governo che un mese e mezzo fa aveva abrogato i voucher e che oggi li reintroduce con caratteristiche per alcuni aspetti assolutamente identiche e per altri di maggiore liberalizzazione”, queste sono state le parole della leader Susanna Camusso, la quale ha poi aggiunto: “Mi pare che sia assolutamente evidente che siamo di fronte a una violazione dell’articolo 75 della Costituzione e un impedimento ai cittadini di votare.”
Alla prova dei fatti, considerando il biennio 2015-2017, i buoni disegnati dal ministro Poletti, come prevedibile, non hanno in alcun modo contribuito a contrastare il lavoro nero, anzi sono stati usati proprio per coprirlo. Suddetta misura, che non è un contratto di lavoro, bensì un semplice pagamento di una prestazione, per giunta, rischia di costituire anche una minaccia per quella che dovrebbe essere la stabilità lavorativa che, al contrario, andrebbe promossa in ogni modo. Le ragioni del dissenso contro queste proposte sono, allora, ben condivisibili e spaventa non poco che ora vengano avanzate nuovamente, sia pure con una nomenclatura diversa. Inizialmente, infatti, si parlava di Prest.O., “prestazione occasionale”, ora invece vi è stata una modifica. Due sono gli strumenti inseriti: il Libretto Famiglia – così chiamato in quanto rivolto specificamente ai lavori domestici o, pure, all’assistenza di bambini e anziani – e il Contratto di prestazione. A ben guardare, però, le differenze rispetto ai vecchi voucher, difatti, non paiono significative. Si tratta, più che altro, di un cambiamento nella forma ma non nella sostanza. La situazione dunque non convince pienamente, nonostante la ministra dei rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, abbia più volte ribadito: “I voucher sono stati cancellati con un decreto-legge di questo Governo e non torneranno. Chi sostiene il contrario, non dice la verità, con la conseguenza aggravante a suo carico di voler lasciare nell’illegalità quelle tante piccole prestazioni di lavoro occasionale di modesta entità economica, che oggi non trovano alcuna tutela nel nostro ordinamento”. “Governo e Pd – ha aggiunto – vogliono regolare i lavori occasionali tutelando i soggetti coinvolti.”
Di certo, sulla questione i toni si stanno inasprendo e la stessa stabilità dell’esecutivo pare poter essere minacciata, dato che il Governo, martedì prossimo, è intenzionato a porre la fiducia. In tutta questa diatriba, però, ciò che maggiormente dispiace è che il Partito Democratico, ancora una volta, abbia perso l’occasione per dimostrarsi, per l’appunto, democratico. Ormai, alla luce delle posizioni prese negli ultimi tempi, è del tutto evidente che, nonostante gli esponenti di quella frangia politica continuino a professarsi di Sinistra, la loro P e la loro D stiano piuttosto per Partito di Destra.
Dipoi, è alquanto imbarazzante notare come la Lega Nord di Salvini, che tanto sgomita, con la bava alla bocca, per difendere gli italiani dagli immigrati, i quali, a detta loro, ci rubano il lavoro, voti, in conclusione insieme al Pd – lo stesso partito sul quale quotidianamente esprime le peggiori ingiurie – delle norme che vanno proprio contro gli interessi dei cittadini. E, infine, cosa poter dire su Forza Italia di Berlusconi, se non che è semplicemente Forza Italia di Berlusconi, con tutto ciò che significa andando a rispolverare la storia recente del nostro Paese?
L’inciucio è servito per l’ennesima volta in questa nostra strana Italia. Le destre, quelle dichiarate e quelle che lo sono nei fatti, non smettono mai di sorprenderci, soprattutto quando si tratta di svilire i diritti dei lavoratori in nome del capitalismo più spinto. Ci si accusi anche di essere dei bastian contrario ma in uno Stato dove i tassi di disoccupazione e di precarietà toccano picchi allarmanti, sulle politiche sociali si gioca tutto il nostro futuro, e dunque, è quanto mai necessario ponderare bene per evitare inganni. Sarebbe poi auspicabile, in tal senso, che qualcosa si muovesse a Sinistra, quella vera che, tra le macerie, non vogliamo smettere di credere che esista.