Dopo essere entrata nella dozzina finalista del Premio Strega 2021 con il suo Adorazione (66thand2nd), Alice Urciuolo torna in libreria con un altro romanzo, La verità che ci riguarda, sempre edito dalla stessa casa editrice.
Alcune tematiche forti dell’autrice – le relazioni familiari, l’erotismo, i disagi interiori e fisici dei giovani – si ripropongono ammantate di una nuova veste, quella della dipendenza affettiva e, sorpresa, della religione come ossessione, o meglio, come inganno.
La protagonista, Milena Cervi, racconta in prima persona (ricordando) la sua vita da adolescente prima, da giovane donna poi, attraverso varie fasi, tutte legate al corpo, alla scoperta di sé e al rapporto conflittuale con i genitori, specie con sua madre, Angelica. Si potrebbe dire che Milena è una ragazzina qualsiasi, una di quelle che incappano nel baratro del disturbo alimentare, nonché nella spasmodica scoperta del sesso, prima da sola, poi con Riccardo ed Emanuele.
Nel periodo dai dodici ai quindici anni Milena soffre di anoressia, apparentemente senza una valida causa scatenante. Sua madre minimizza, è una donna concreta, poco avvezza alle smancerie, eppure, quando si tratta di buttarsi a capofitto in una situazione che di concreto ha poco, non ci pensa due volte. Viene irretita da Tiziano Valentini, un “santo” a detta di molti che credono nei suoi poteri mistici, un “imbroglione” a detta di altri che vorrebbero buttare giù quella sua Chiesa della Verità, costruita con le donazioni dei fedeli (o sarebbe meglio dire adepti) incluse quelle di Angelica, la madre di Milena.
Ma di quale Verità stiamo parlando?
Passati gli anni dell’infanzia in cui ero stata molto devota a Dio, a Gesù e a Maria, io ormai non credevo più. Ma non avevo smesso di credere perché mia madre aveva iniziato a frequentare Roccanuova: sarebbe successo comunque, era già successo quando, quella mattina di novembre, avevo fatto scivolare per la prima volta l’ostia nella tasca del cappotto. Mi sembrava che la religione esistesse fuori di noi molto più di quanto non esistesse dentro. (p. 78)
Angelica non è la sola ad affrontare la religione a modo suo: anche Milena, nonostante accetti di frequentare l’università a Roma alloggiando all’Ulivo Santo, una sorta di istituzione turistico-religiosa guidata dalle suore, accetta e rinnega, confondendo i suoi desideri e i suoi bisogni a causa dello spettro del “peccato” materno. Eppure, in fondo, Milena ama sua madre. Qui, una parte della Verità.
La protagonista incontra, poi, Emanuele Viola, un uomo più grande di lei. In sua presenza si vergogna, si sente “contadina”, teme che la fama oscura di sua madre e delle sue pazze donazioni al santone lo faccia allontanare da lei.
Ero partita con dei pregiudizi, avevo frainteso il suo atteggiamento la prima volta, in realtà Emanuele era una persona gentile e educata – questo avrei detto ad Anna, a Leonora e alle altre quando, di lì a poco, avrei raccontato di lui. Nonostante fossimo così lontani per età, posizione sociale e stile di vita, quel pomeriggio ci eravamo capiti al volo, e io avevo presto smesso di sentirmi in soggezione: che lui fosse così interessato a me e che mi facesse così tante domande mi dava sicurezza, mi faceva sentire desiderata, avevo la sua attenzione. Il fastidio si era dissipato, rimanevano soltanto la lusinga e il piacere. (p. 87)
Invece i due iniziano a frequentarsi, ad avere una vera e propria relazione. Con lui Milena finalmente scopre che il sesso può essere piacevole, che il desiderio non è qualcosa di cui vergognarsi, eppure il tarlo del dubbio le rimane: la vergogna sociale, la cui scintilla era iniziata tempo prima in famiglia, si ripropone nel presente, nella scelta di frequentare un uomo con molti più anni di lei.
Il gioco di potere tra i due mi ha immediatamente ricordato il rapporto tra Consuela Castillo e David Kepesh ne L’animale morente di Philip Roth, ma stavolta la bilancia pende da un’altra parte: se lì era Consuela a tenere ben salda la presa sul professore, qui, nel romanzo di Urciuolo, è Emanuele che dirige i giochi.
Per anni ho davvero creduto che il sesso con Emanuele fosse eccezionale, ma in verità non lo era affatto: era solo la crosta di pane per chi non mangia da giorni, era l’unica cosa in cui riuscivo a trovare quelle briciole di intimità, calore e sicurezza che non trovavo in nessun altro angolo della nostra relazione. (p. 109)
Ingenuamente, come nel più classico degli inganni, Milena crede che le gelosie, le pretese di controllo, i comportamenti lunatici e i periodi di sparizione di Emanuele (del tutto analoghi nella narrazione a quelli affascinanti ma subdoli di Tiziano Valentini) siano solamente delle prove di un amore passionale e capriccioso, da romanzo. Proprio questo sfasamento avvicinerà di nuovo Milena alla fede ed è proprio qui che la “follia” della madre e il bisogno d’amore della figlia si incontrano. Lì in mezzo, nel centro tra le due, un fantasma bifronte, quello della setta della Chiesa della Verità e quello dei tradimenti di Emanuele.
Ho detto “il più classico degli inganni”: difatti Milena viene a saperlo e non solo perdona, ma intrattiene una sorta di relazione a tre che ha dell’assurdo, abbracciando stoicamente ma senza ragione il ruolo della martire. Allora in cosa è mai diversa da sua madre che aderendo al culto della setta ha “tradito” la propria famiglia pur non abbandonando (almeno in spirito) lei e il marito?
Lasciando da parte per un attimo la trama, ciò che viene raccontato nel romanzo, con una scrittura priva di fronzoli, dritta al punto, ma non per questo fredda o spenta, è condensato tutto in una domanda: quanto i nostri errori assomigliano a quelli dei nostri genitori? E siamo davvero persone migliori di loro solo perché siamo più giovani e abbiamo più tempo avanti a noi per porre rimedio?
Milena e Angelica a miei occhi sono le due facce di una stessa medaglia, la seconda con errori ben visibili a tutti, addirittura di dominio pubblico, la prima con i medesimi sbagli, ma tenuti stretti nel corpo, nell’animo, quasi con la paura di osservarli per scoprirli identici a quelli della madre. Il titolo probabilmente fa riferimento proprio a questo, al fatto che nessuno è esonerato dallo svelamento della verità, prima o poi, e che la verità e le sue sfaccettature si plasmano nel modo esatto in cui decidiamo di redimerci e di confessarci.
Un ottimo romanzo, scritto bene, scorrevole, profondo. Alice Urciuolo si riconferma una narratrice di qualità.