Noi andavamo lenti perché pensavamo che la vita funzionasse così: che bastava strappare lungo i bordi, piano piano. Seguire la linea tratteggiata di ciò a cui eravamo destinati e tutto avrebbe preso la forma che doveva avere. Perché c’avevamo 17 anni e tutto il tempo del mondo.
È questa una delle meravigliose citazioni chiave di Strappare lungo i bordi, la serie animata scritta e diretta per Netflix dal fumettista e vignettista romano Zerocalcare (pseudonimo di Michele Rech) che, dopo soli due giorni dalla sua uscita, il 17 novembre, ha sorprendentemente raggiunto il primo posto nella top 10 della piattaforma, divenendo la più vista in Italia e soffiando persino la corona a Sua Maestà Squid Game. La serie è prodotta da Movimenti Production in collaborazione con Bao Publishing, mentre l’animazione è realizzata da DogHead Animation Studio e già alla Festa del Cinema di Roma, il 18 ottobre scorso, erano stati mostrati in anteprima i primi due episodi.
Zerocalcare aveva fatto breccia nel cuore della gente già diverso tempo fa. Classe 1983, ha pubblicato il suo primo albo a fumetti nel 2011, dal titolo La profezia dell’armadillo – a cui questa serie è palesemente legata –, che ha ottenuto un grandioso successo, tanto da diventare un film omonimo nel 2018. Sono seguiti lavori come Un polpo alla gola (2012), Dodici (2013), Kobane Calling (2016), Macerie prime (2017), A babbo morto. Una storia di Natale (2020). Ma ciò che ha consacrato il suo operato sono senza dubbio i corti animati Rebibbia Quarantine trasmessi su LA7 nella trasmissione Propaganda Live durante il periodo del lockdown, i quali hanno messo in luce il suo desiderio di sperimentare con l’animazione. E, poi, Strappare lungo i bordi. Un traguardo senza pari, la sua prima serie animata che si insinua discreta per poi esplodere. Si trangugia all’istante, grazie ai soli sei episodi della durata di 15/20 minuti circa ciascuno e grazie a un ritmo fluido ed energico che sa prendersi comunque i suoi tempi, preziosi.
La trama segue il viaggio verso Biella di Zerocalcare e i suoi due amici di una vita, Sarah e Secco, raccontato alternando le vicende presenti a flashback della vita del protagonista, dall’infanzia nella zona di Rebibbia – Ponte Mammolo all’adolescenza, alla prima età adulta. Il tutto accompagnato dall’iconico Armadillo, già incontrato nel primo albo, una proiezione della personalità di Zerocalcare, una sorta di assurda coscienza, l’unico ad avere una voce a sé che è quella di Valerio Mastandrea. Sì, perché l’autore doppia, oltre a se stesso, anche il resto dei personaggi, sebbene altre voci udibili nella serie siano quelle di Paolo Vivio, Chiara Gioncardi, Veronica Puccio e Ambrogio Colombo.
Ma cos’è Strappare lungo i bordi? Il titolo fa riferimento a quei percorsi che sembrano prestabiliti per noi, come linee tratteggiate attorno alle figure, attorno alle nostre vite. Eppure non è affatto semplice e il risultato è un continuo andare fuori strada. Zerocalcare si fa portavoce di quelle paranoie che sono in ognuno di noi, dei disagi tipici dell’essere umano. Attraverso flashback apparentemente scollegati alla trama principale, mette in scena tutte le ansie, le turbe mentali, i sensi di colpa, i dubbi in cui ciascuno riesce a riconoscersi almeno una volta. È il senso di inadeguatezza della cosiddetta generazione dei millennials, quelli nati tra gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Quelli cresciuti con attorno una costante aura di precarietà e insoddisfazione, che si sono ritrovati tra le mani un mondo allo scatafascio, prosciugato, e adesso scontano le conseguenze degli errori degli avi, costretti a rincorrere le briciole o a doversi reinventare totalmente, venendo in ogni caso additati come scansafatiche. Quelli che si sentono costantemente sbagliati, fuori posto. Proprio come Zerocalcare il quale, pur avendo raggiunto ottimi traguardi, resta il ragazzo con il master in pippe mentali, come dice lui stesso, che si aggroviglia le budella nella scelta di una semplice pizza. Che si sente a disagio nell’incontrare, anni dopo, i ragazzini a cui dava ripetizioni. Incarna l’incertezza del futuro, la difficoltà a comunicare, si mette a nudo in tutte le sue umanissime fragilità.
L’uso dei tempi comici è formidabile e se un secondo sei in salita sul binario delle montagne russe dell’anima, quello dopo scendi in picchiata. Perché le informazioni e le rivelazioni vengono date con tale naturalezza e ferocia da disarmare. Una narrazione all’apparenza leggera, a volte quasi futile, che cela invece sempre una sacrosanta verità. Vediamo l’alternarsi di gag e riflessioni profonde, esistenziali, che l’autore sa bene come stemperare senza ridicolizzare. Un flusso di coscienza quasi terapeutico. Lo vediamo strizzare l’occhio ai problemi della società patriarcale, quando questa è distruttiva anche per l’uomo. Difatti, Zerocalcare non riesce a cambiare la gomma dell’auto ma sente di non poter chiedere aiuto perché, in quanto uomo, deve occuparsi di macchine e commentare la Serie A, o risulterebbe una vergogna. Lo vediamo affrontare anche quel genuino egocentrismo tipico dell’essere umano, il quale si flagella credendo di trasportare sulle spalle il peso di tutti i mali del mondo. E ci sentiamo sinceramente sollevati quando ci viene ricordato di non darci tante arie, che, in fondo, siamo solo un filo d’erba tra tanti.
Da buon nerd che si rispetti, sono presenti nella serie non solo svariati easter egg ma anche innumerevoli riferimenti alla cultura pop e ai suoi lavori pregressi. Come Katja, personaggio comparso in Dodici e in Macerie prime, il Panda, sempre in Macerie prime, o Corrado Persichetti, il bullo di Un polpo alla gola. Vengono citate opere come Dragon Ball, Ken il Guerriero, Il Trono di Spade, l’Orso Yoghi, o il celebre videogioco Street Fighter. L’autore dedica anche un omaggio a Michele Foschini, co-fondatore di Bao Publishing, la casa editrice che pubblica i suoi fumetti, il quale presta la voce a un personaggio secondario. Non si risparmiano i riferimenti alla musica, altra grande passione di Zerocalcare (Pink Floyd, Nirvana, Beatles, Clash), e al cinema (Jurassic Park, Pearl Harbor, L’odio, Star Wars, Cast Away, Full Metal Jacket, Arancia Meccanica).
Proprio la colonna sonora dell’intera serie è già cult, un crogiolo di brani tra i più variegati, da quelli originali di Giancane (raccolti nell’album Strappati lungo i bordi), alle musiche degli M83, Manu Chao, Ron o Tiziano Ferro, fino ai Generation X con Billy Idol. Intervistato da Lega Nerd ha detto: «Io nei fumetti metto sempre le musiche che mi immagino ci siano in quel momento, scrivo i testi delle canzoni fuori dalle vignette. Il fatto di poter consegnare un prodotto che ha il pieno controllo di tutta quell’esperienza sensoriale è la roba che in generale mi attirava di più del mondo dell’animazione, insieme al fatto che sia un linguaggio molto più diretto e accessibile».
Disegni semplici, immediati e un parlato informale, lo stile che da sempre caratterizza Zerocalcare, senza retorica, senza moralismi. E fanno quasi ridere le critiche mosse da un certo pubblico a proposito del suo dialetto romano. Che non sia un doppiatore di professione è palese ma è se stesso, è il suo mondo, dunque è esattamente come doveva essere. Non avrebbe altrimenti raccontato la storia con tale autenticità. «Il romano ha delle espressioni che sono super colorite, evocative, immaginifiche», ha commentato. «È proprio un peccato privare il resto d’Italia di questa roba». Ma, se vogliamo dirla davvero alla Zerocalcare, rende senza dubbio meglio il suo tweet: Madonna regà come ve va de ingarellavve su sta cosa. Inoltre, diciamolo chiaramente, tanto rumore per un po’ di romanesco – tra l’altro del tutto comprensibile – e per un’intera serie in lingua coreana tutti contenti.
È forse quella necessità di dover muovere una critica a ogni costo, anche verso un’opera che, lasciatecelo dire, rasenta la perfezione. Una boccata d’aria fresca da parte di un autore che, assieme a personalità come Leo Ortolani o Silvia Ziche, tratteggia il meglio che l’Italia del fumetto ha da offrire oggi. Nessuno prima di lui, nel suo settore e negli ultimi tempi, era stato capace di portare avanti un’impresa simile, una serie appositamente creata per Netflix, caposaldo delle piattaforme streaming. E di riscuotere un così immediato successo. Perché Zerocalcare è ciascuno di noi. Perché ci fa sentire così incredibilmente compresi. Se questo è il vostro primo approccio con il suo mondo, beh, sarà un colpo di fulmine. E a lui che, umilmente, non si augura di migliorare le persone ma neppure di peggiorarle, vogliamo dire no, caro Michele, tu non sei solo intrattenimento. Sei poesia e irriverenza, amarezza e conforto, risate e lacrime. Semplicemente, la vita.