«Fate presto! Viviamo da anni una Via Crucis dei rifiuti che, dopo essere stati depositati, vengono bruciati, rilasciando i veleni che rendono tossica l’aria e provocano tante morti». Questo il drammatico appello, a oggi inascoltato, di una residente di Villa Literno, in provincia di Caserta, nella cosiddetta Terra dei Fuochi, che il WWF ed esponenti del mondo ecclesiastico e laico hanno fatto proprio, già da lungo tempo, ribadendo che ora è giunto il momento di pulire e bonificare i territori, senza ulteriori rinvii.
Per l’organizzazione ambientalista, la situazione dell’intera area continua a essere critica, con numerose problematiche rimaste irrisolte. In proposito, viene da chiedersi perché il Consiglio Regionale della Campania abbia revocato il rinnovo della Commissione speciale sulla Terra dei Fuochi, provocando le reazioni di protesta delle molte associazioni che da anni sono impegnate a denunciare lo scempio a cui quotidianamente si assiste tra le province di Napoli e Caserta. Perché nella Regione che, anticamente, era chiamata Campania Felix si lascia morire, nel degrado totale, un territorio dell’estensione di circa tre milioni di metri quadrati e con esso i suoi abitanti? A chi attribuire le responsabilità del muro di indifferenza e silenzio su comportamenti tanto scellerati?
Oltre che alle istituzioni statali, lo si dovrebbe chiedere al Presidente della Regione, rivelatosi uno strenuo difensore della salute pubblica nell’era funestata dal Covid-19 e dai problemi a esso correlati che ora sembrano costituire un motivo valido di rinvio della soluzione ad altre serie problematiche, di fatto non più procrastinabili. D’altronde, fu lui qualche anno fa, come testimoniato da Don Patriciello, parroco di Caivano, ad asserire che la Terra dei Fuochi non esiste, addossando ogni colpa ai cittadini incivili che abbandonano i rifiuti in strada.
Tra le organizzazioni che hanno disapprovato la scelta del mancato reimpiego della Commissione speciale c’è proprio il WWF, attivo nella regione Campania da più di quarant’anni sul versante della protezione delle specie animali e, in generale, della salvaguardia dell’ambiente. I gravi problemi relativi ai territori ricadenti nella vasta area martoriata, infatti, sono rimasti del tutto irrisolti e negli ultimi anni si è registrato addirittura un aumento dei reati ambientali: «A oggi il problema è ancora vivo», fa sapere l’associazione. «Nonostante le assicurazioni e i lavori svolti in precedenza dalle varie Commissioni, le bonifiche dei siti contaminati sono ancora bloccate».
Si pensi alle discariche ufficiali che continuano a detenere le famose ecoballe, alla massiccia presenza dei roghi tossici per lo smaltimento dei rifiuti illegali, giorno e notte, da parte della criminalità organizzata e di imprenditori senza scrupoli; alle bonifiche mai effettuate del fiume Sarno e, per finire l’elenco, alle centinaia di discariche abusive presenti su tutto il territorio campano. Ciononostante, è mancata, fino a ora, da parte del governo nazionale la volontà di approvare il decreto Terra mia che prevede sanzioni e pene più severe nei confronti di chi commette reati ambientali. Perché?
A essere assente dall’agenda politica delle istituzioni nazionali e regionali non è solo la difesa dell’ambiente e della salute pubblica dai pericoli dell’inquinamento devastante, ma soprattutto la disponibilità di mezzi e risorse atti a controllare un territorio ad alto rischio ambientale come quello della Terra dei Fuochi. In questa grande zona delle province di Caserta e Napoli, che conta due milioni e mezzo di abitanti, la gente continua a morire fra inceneritori, rifiuti tossici interrati, amianto e discariche abusive a cielo aperto. Eppure, le mamme non hanno perso la speranza.
Sono tante le madri della Terra dei Fuochi i cui figli sono morti di tumore. Uccisi, prima che dalla malattia, dallo Stato latitante. Puoi riconoscerle subito: i tratti somatici marcati, profondi e quasi incisi sul volto, sono la sintesi di un dolore muto. Ora combattono con determinazione e coraggio per i figli degli altri e per tutti quelli che verranno.
Non esiste un registro dei tumori, ma quando la gente muore, nell’area nessuno si chiede la causa del decesso. L’unica, consueta domanda è arò o’ tenev (dove lo aveva, il tumore).
A Loredana, 45 anni, di Casalnuovo, un Comune in provincia di Napoli dove la puzza dei roghi è sempre notevole, più di dieci anni fa, è morto il figlio Enrico di 8 anni a causa di un tumore al cervello. Due mesi dopo la fine del bambino, Loredana ha avuto Francesco, frutto di una gravidanza a cui sia lei che il marito non hanno prestato molta attenzione, per seguire l’evoluzione della malattia di Enrico, purtroppo conclusasi con l’epilogo tragico.
Ida, 54 anni, ha perso la figlia Martina, morta a 9 anni di neuroblastoma, un tumore al rene contro il quale ha lottato come una leonessa e che pareva regredire, ma poi è ricomparso, ancora più aggressivo, e in tre anni l’ha consumata. Martina amava la danza. Di lei restano il tutù e le scarpette dalla punta rinforzata che, nel chiuso della sua cameretta, i genitori carezzano come a ritrovare il contatto fisico mancante.
Ambedue i casi rappresentano gli anelli di una catena destinata ad allungarsi spaventosamente se non si intraprenderanno, in modo concreto, quelle azioni volte alla bonifica e salvaguardia dei territori della Terra dei Fuochi.
L’auspicio di tutti i residenti e delle associazioni ambientaliste è, dunque, che venga ripristinata la Commissione sulla Terra dei Fuochi e che a essa faccia seguito una rinnovata, fattiva collaborazione istituzionale fra enti locali, governo, Regione, magistratura e forze dell’ordine per arginare il fenomeno dei reati ambientali, sempre più frequenti e dilaganti nei territori campani, oltre che estremamente pericolosi per l’ambiente e per la salute stessa dei cittadini.
Contributo a cura di Anna Loffredo