Nelle immagini dei ragazzi che scendono in piazza, si trova sempre un buon motivo per rinvigorire le speranze della società in un domani che, altrimenti, si mostrerebbe buio e senza autonomia.
La settimana appena trascorsa ha visto le pagine dei quotidiani nazionali e locali affollarsi con le fotografie provenienti dalle principali città italiane degli studenti in marcia contro l’alternanza scuola-lavoro. Da Milano, passando per Roma – la capitale è stato il cuore pulsante della protesta con oltre ottantamila giovani in marcia – fino a Napoli, migliaia di adolescenti hanno, finalmente, deciso di affidare a se stessi il futuro del luogo che determina in maniera preponderante le proprie giornate, la scuola, stanchi di mettere le loro sorti nelle mani di una politica troppo spesso cieca e sorda ai problemi e alle necessità di questi ultimi.
Della cronaca dei giorni di movimentazione, dunque, si sono fatte portavoce le maggiori testate televisive e cartacee del Paese, pertanto, non è il racconto di queste ultime mattine che ci interessa sottolineare, quanto il messaggio che, ci si augura, possano aver lanciato e impresso in maniera decisiva, anche attraverso le voci di alcuni dei protagonisti.
Lo schiavismo di aziende senza scrupoli non può e non deve essere tollerato, in nessun caso. La manodopera a costo zero, per di più a discapito di lezioni destinate a un apprendimento fondamentale per il domani dei ragazzi, dev’essere addirittura condannata e stroncata attraverso ogni mezzo. Non sono pochi, infatti, gli studenti che, all’alba del provvedimento che prevede lo spendersi di alcune ore del programma scolastico nella sede di aziende, enti, comuni, studi professionali, fino addirittura a fattorie, bar e autogrill, hanno denunciato vere e proprie condizioni di lavoro non tollerabili da un sistema che, invece, dovrebbe garantir loro ore destinate all’insegnamento di materie innanzitutto coerenti con il percorso di studio intrapreso, oltre che propedeutiche al corretto inserimento nel mondo post-scolastico.
Nulla, però, di tutto questo è mai stato realmente garantito, con giovani che hanno raccontato di giornate trascorse a servire caffè sulle autostrade o in stazioni affollate, oppure, come successo in un istituto biotecnologico ambientale, obbligati a zappare la terra.
Tramite un’inchiesta regionale abbiamo smentito la retorica del Governo sull’alternanza scuola-lavoro, che a oggi non rappresenta una metodologia didattica formativa ma solo un modo affinché le aziende possano accedere a manodopera gratuita. Il 46% degli studenti ha dovuto sostenere delle spese per partecipare all’alternanza, il 63% ha svolto percorsi non inerenti al proprio indirizzo di studi, il 38% degli studenti ritiene che sono stati negati diritti che dovrebbero essere garantiti e il 100% degli studenti intervistati vuole essere coinvolto nella determinazione del proprio percorso di alternanza. Scrivevano appena poche ore fa i colleghi di Napoli Today. Le testimonianze da noi raccolte vanno persino oltre.
Abbiamo raggiunto i rappresentanti di studenti e genitori di alcuni istituti della provincia napoletana i quali hanno così tuonato: Non abbiamo imparato nulla di nuovo nell’ASL dello scorso anno, e questo non si prospetta migliore. Passiamo ore a studiare la matematica, il latino, poi, ci siamo ritrovati a fare le fotocopie negli uffici comunali o, qualche nostro amico, addirittura ha trascorso le giornate a fare le scale di uffici privati per andare e tornare dalle macchine del caffè. I più fortunati spendevano le ore destinate all’alternanza chattando con i compagni impegnati altrove su Facebook.
Dello stesso tono sono le accuse mosse dai genitori, alcuni sensibili al problema, anche loro in piazza al fianco dei propri figli: Facciamo enormi sacrifici per comprare libri sempre più costosi, per garantire un futuro e poi tagliano ore di apprendimento per lavori inutili, spesso nemmeno garantiti dalle basilari norme di sicurezza o lontanissimi dall’istituto scolastico. Se qualcuno dei nostri figli sparisce in quel frangente, o si fa male, la scuola ne è responsabile? Assolutamente no. E così non è ammissibile.
Quando, addirittura, è un’insegnante a remare dalla stessa parte di alunni e genitori, poi, il discorso assume dimensioni difficilmente controllabili: Si parla tanto del problema dell’abbandono scolastico a fronte di un lavoretto che permette ai ragazzi di guadagnare quelle poche centinaia di euro con le quali, però, possono comprare abiti alla moda, il nuovo iPhone, portare la ragazzina a mangiare una pizza. Molti genitori combattono ogni mattino per far capire che quelle strade sono senza futuro, che nessun cellulare garantirà mai la felicità della propria affermazione, ma all’età di questi giovani non è un discorso che tutti riescono a far maturare dentro se stessi e imporre qualcosa non sempre porta ai risultati sperati. Poi, però, accade che lo Stato propone un modello vergognoso di avvicinamento al lavoro e tutti gli sforzi sono resi vani. Non solo il ragazzo si ritrova a svolgere mansioni che nulla c’entrano con il piano di studi ma, per di più, non impara nessuna nozione utile e, anzi, subisce l’umiliazione di un incarico per il quale la chimica, l’inglese, l’arte non servono. Si svilisce solo il nostro lavoro, già spesso messo alle corde da famiglie iper protettive e sorde ai campanelli d’allarme che la scuola accende verso i problemi mostrati dai loro figli. Il ruolo dell’insegnante è declassato ogni oltre decenza.
Non sorprende, forse, nessuno che un governo capace di affidare – e non revocare successivamente – l’incarico di ministro alla Pubblica Istruzione a un cittadino che tenta di imbrogliare sul proprio titolo di studio, dichiarando una laurea mai conseguita, sia incapace di conoscere i reali problemi in cui versa il sistema scolastico, tuttavia, mostrarsi addirittura strafottenti di fronte alle tante richieste di revisione della Buona Scuola da parte della totalità degli addetti ai lavori, con fare dittatoriale, così come è stata imposta all’intero sistema, è uno schiaffo all’istituzione a cui viene affidato il futuro del Paese, la formazione di quei giovani che, un domani, stando a quanto emerge dal muro eretto dalla classe governante, appare forse più utile ai propri sporchi giochi di potere dietro a una macchina del caffè piuttosto che in istituti di ricerca o nelle università. Nulla contro baristi o contadini, sia ben inteso, ma qualunque sia il lavoro attraverso il quale un ragazzo decida di sfamare la propria famiglia e costruire il suo futuro dev’essere, appunto, una scelta e non un indirizzo già dettato da anni di scarsa formazione e lecita autorizzazione allo sfruttamento.
Se si vogliono, davvero, invertire le regole di uno Stato votato sempre più al malaffare, al lavoro a nero e sottopagato, alla mediocrazia anziché a una strada da percorrere con merito, a testa alta, con reale coscienza anziché buia speranza, è sugli anni fondamentali alla crescita dei cittadini del futuro che bisogna seriamente tornare a investire.
L’ascolto delle manifestazioni di quelle migliaia di ragazzi sarebbe il primo e unico passo utile al Governo che verrà. All’attuazione di un piano di risanamento del sistema scuola è affidata ogni voce che in un domani vuole certezze, coerenza e soddisfazione.