Contributo a cura di Samantha O. Storchi.
La relazione tra arte e guerra è sempre stata ambivalente, così come il rapporto tra arte e terrore.
La rappresentazione della gloria e della sofferenza è stata a lungo uno dei temi preferiti della storia dell’arte. Anche se a essa occorrono pace e tranquillità per svilupparsi, di volta di volta, l’arte si è avvalsa di questa quiete per intonare lodi agli eroi di guerra e alle loro gesta. Nessun cavallo è mai riuscito ad esprimere con tanta forza che il suo cavaliere è il dominatore del mondo quanto il cavallo bianco ritratto da Jacques-Louis David – capofila del Neoclassicismo in pittura – nel famoso quadro che esalta Napoleone al passo del gran San Bernardo, un dipinto oggi conservato al Musée National du Chateau de Malmaison. Per molti secoli, l’artista è stato un narratore e un illustratore degli eventi. La sua figura e quella del guerriero dipendevano, dunque, l’una dall’altra: solo la prima, infatti, poteva dare fama all’eroe, assicurandogli notorietà presso le generazioni a venire. In un certo senso, le gesta eroiche di guerra del passato sarebbero state futili e irrilevanti senza l’artista in grado di testimoniarle e consegnarle alla memoria dell’umanità.
Tuttavia, nel tempo, la situazione è cambiata drasticamente: il guerriero contemporaneo non ha più bisogno dell’artista per iscrivere le sue prodezze nella memoria universale. Per soddisfare questo bisogno, egli dispone di tutti i mezzi di comunicazione. Qualsiasi attacco terroristico e qualsiasi azione di guerra sono immediatamente registrati, rappresentati, descritti, narrati dai media. La macchina della copertura mediatica funziona automaticamente: non necessita di alcun intervento, né di singole decisioni artistiche. Schiacciando il pulsante che fa esplodere la bomba, il terrorista schiaccia il tasto che avvia la sua notorietà.
I mass media rappresentano la più potente macchina di produzione di immagini, molto più grande del sistema dell’arte. L’artista non può competere con il flusso incessante di scene di guerra, di terrorismo e di catastrofi a cui siamo sottoposti costantemente. Egli, infatti, non ha e non avrebbe alcuna possibilità di rivaleggiare con questi generatori di violenza.
Gli stessi terroristi – che, in modo provocatorio, chiameremo guerrieri – si comportano, in un certo senso, come artisti. Pensiamo ai video diffusi in rete che rappresentano il loro strumento preferito. Bin Laden fu il primo a farne uso per comunicare con il mondo esterno. Questi filmati, che rappresentano talvolta le decapitazioni, talvolta le intenzioni degli attentatori, sono inscenati – coscientemente e strategicamente – per essere eventi dotati di una propria riconoscibile estetica. Questi guerrieri non stanno lì ad aspettare che qualcuno raffiguri le loro gesta di guerra e di terrore: al contrario, l’azione stessa coincide con la sua documentazione e con la sua rappresentazione. La funzione dell’arte e il ruolo dell’artista sono stati completamente cancellati.
È importante sottolineare un aspetto della questione: queste scene di terrore sono diventate icone dell’immaginario collettivo. I video dell’ISIS e quelli della prigione di Abu-Ghraib sono ancorati alla nostra coscienza molto più di qualsiasi opera d’arte.
Il terrorismo è essenzialmente iconofilo. La produzione di immagini del guerriero contemporaneo ha come obiettivo quello di produrre fotogrammi forti, che tendiamo ad accettare come veri, come reali. Dopo numerosi decenni di critica dell’immagine, della mimesi, della rappresentazione, ci sentiamo quasi imbarazzati nel mettere in discussione la loro veridicità. Non possiamo farlo, è assurdo anche solo pensarlo, perché sappiamo che essi sono stati pagati con la reale perdita di vite umane. Magritte ha detto che una pipa dipinta non è davvero una pipa, ma come possiamo dire che una decapitazione filmata non sia una vera e propria decapitazione? O che il rituale di umiliazione subito nel carcere di Abu-Ghraib non sia davvero un rituale? Così, dopo anni di analisi della rappresentazione, siamo costretti ad accettare alcune immagini e alcuni video come indiscutibilmente veri. Il terrorista vuole rafforzare la fede nell’immagine ed è per questo che diventa il rivale dell’artista moderno e dell’arte d’avanguardia che è, essenzialmente, iconoclasta.