Non tutti sanno che esiste una Spagna del passato che non splende in quanto a valori artistici e culturali, ma resta sempre più oscurata. All’angolo dove tutto ciò che è tracciato da una pennellata di colore viene messo in cantina e dimenticato, essa si impoverisce e rimane sempre più indietro in quella che potremmo definire come una maratona d’arte con il resto d’Europa. La Catalogna, infatti, reagisce brutalmente alla guerra civile combattuta tra il luglio 1936 e l’aprile 1939 che vede lo scontro fra i nazionalisti – con Emilio Mola e Francisco Franco – e i repubblicani composti da truppe fedeli al governo legittimo guidato dal Fronte Popolare di ispirazione marxista. Uno scontro che porta al crollo della Repubblica segnando così l’inizio di una lunga dittatura militare, tradizionalista, conservatrice e cattolica ispirata al fascismo, un regime definito del caudillo durato fino al 1975 e seguito da un periodo di transazione per il ritorno della democrazia, ma con una forma di governo nuovamente monarchica.
Nel 1939 – anno che segna l’avvento della Seconda Guerra Mondiale – Francisco Franco incontra Hitler a Hendaje, dove quest’ultimo gli propone di combattere al fianco dell’Asse, ma la Spagna sembra non approvare, tant’è che alcuni critici ipotizzano che Franco avanzi richieste improbabili – che il Führer sicuramente respinge – per restare fuori dal conflitto. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e precisamente nel 1945, quindi, si viene a creare nel Paese una situazione di isolamento, dove gli alleati usano le simpatie franchiste per Mussolini e Hitler con l’intento di tenersi fuori dalle Nazioni Unite e cercando nel frattempo di creare un’immagine della Catalogna che si avvicini a quella dei vincitori. Questa concezione, tuttavia, non è realizzabile perché l’economia si trova ancora in disordine e il Paese attraversa un periodo di profonda miseria dovuto alla politica economica franchista sul fascismo agrario e sull’autarchia. La Spagna esce da tale isolamento soltanto nel 1953 quando il governo firma il concordato con il Vaticano.
Rimasta arretrata e non apprezzata dal punto di vista artistico e culturale, dunque, da questo momento ritornerà a quella ricchezza già posseduta in precedenza: si affermerà la generazione del ’50 in cui I figli della Guerra Civile nati a cavallo tra gli anni Venti e Trenta del XX secolo uniranno la rivendicazione sociale con una nuova lirica e preoccupazione per il linguaggio incorporando al tempo stesso riflessioni metafisiche e filosofiche nelle loro opere. La poesia stessa sarà vista come atto di conoscenza e non più come momento di comunicazione. Nel 1957, allora, nascerà El Paso come conseguenza del raggruppamento di vari pittori che, in un periodo particolarmente difficile, coglieranno la necessità morale di realizzare un’azione all’interno del proprio Paese, dando vita a un manifesto firmato da Rafael Canogar, Luis Feito, Juana Francés, Manolo Millares, Antonio Saura, Manuel Rivera, Pablo Serrano, Antonio Suárez, insieme agli scrittori Manuel Conde e José Ayllón uniti dall’arte informale e appartenenti tutti alla stessa generazione, artefice dell’immancabile viaggio a Parigi per apprendere da Dubuffet, Fautrier e Mathieu.
Gli artisti appena citati – già esposti a Mosca con oltre 26mila visitatori – tornano adesso a Roma per una mostra dedicata interamente all’arte spagnola degli anni Cinquanta e Sessanta dal titolo La poetica tra astrazione e figurazione esposta alla Sala Dalí dell’Istituto Cervantes nella centralità di Piazza Navona: 18 pittori e 34 opere fra dipinti, rilievi, sculture e disegni che comprendono tecniche e stili anche totalmente diversi, dall’olio su tela di paesaggi naturalistici a opere astratte e senza titolo che lasciano il visitatore nell’ombra del dubbio e della concezione astratta che si riscontrano soltanto in una città come Madrid in un periodo dal forte desiderio di rinnovare l’arte contemporanea dopo le difficoltà imposte dalla dittatura. Nonostante astrazione e figurazione possano sembrare opposte, però, il punto di incontro potrebbe essere colto come una lotta contro la mancanza di riconoscimento della cultura in un clima oscuro.
La figurazione era comune e decisiva per lui fin quando trovò la sua voce e il suo materiale, il legno. Così arrivò all’astrazione con un’incredibile naturalezza: da queste parole di Antonio López su Lucio Muñoz – uno degli ideatori del manifesto El Paso – notiamo come siano utilizzate anche tecniche innovative, come la pittura sul legno, che fanno sì che ogni dettaglio si intersechi fra una piega e l’altra lasciando lo spettatore e l’appassionato d’arte in uno stato di inquietudine ma al tempo stesso di meraviglia. Insieme all’arte si creano nuove emozioni liberando la vista e i sensi a una nuova piacevolezza.
Fra questi artisti che portano la Catalogna a una fase di grande riconoscimento artistico ricordiamo anche una donna, Amalia Avia, che a proposito di questo nuovo movimento ostenta tutta la sua riconoscenza alla presenza di Antonio che è stata un’ancora di salvezza per coloro che con me avevano scelto il percorso di figurazione più diretta. Come si evince dalle sue opere, infatti, López aggiorna e nobilita la pittura realista collocandola fra le avanguardie del tempo proprio nel momento in cui l’astratto si trova nel suo massimo splendore e il realismo è considerato arretrato e accademico.