La penna della fenice (Albe Edizioni) è un romanzo per giovanissimi intelligente, finemente impreziosito da illustrazioni che, grazie all’uso di un tratto deciso e di colori accesi, sembrano bucare il foglio e proiettarsi sulle pareti. Nella premessa, l’autrice e illustratrice Haider Bucar profonde tutta la sua ammirazione per Ulisse Aldrovandi, primo vero naturalista europeo, avventuriero della matita, scienziato e artista dalla curiosità vivida e dalla fantasia sconfinata.
Il romanzo vede protagonista un Aldrovandi decenne, alle prese con il pesante fardello delle aspettative che sua madre nutre per lui e la sua futura carriera e con i primi palpiti di una passione che non lo abbandonerà mai: quella di catalogare la natura, di svelarne i più minuscoli segreti avvalendosi di parole e tratti di matita. Lo sfondo è la Bologna del Cinquecento, più precisamente la piazza del mercato bolognese, vero e proprio portale sui tesori e le meraviglie di un’opulenza remota e familiare. Così come, in vita, Aldrovandi ha sempre dedicato pari minuzia ai suoi bestiari di creature esistenti e di creature fantastiche, l’Ulisse ragazzino scruta la sua città con occhi che scorgono ovunque uomini che rassomigliano ad animali e animali che assumono connotazione umana. Questa scelta dell’autrice, tipica nei romanzi per ragazzi, risulta qui particolarmente apprezzabile, se teniamo conto della professione dell’Aldrovandi adulto.
Attento osservatore del regno animale, è infatti più che plausibile che ravvisasse, nelle persone che conosceva, delle somiglianze con le specie che studiava. Con estrema riverenza e delicatezza, Bucar narra la storia di un ragazzo che amava disegnare animali come fosse un vero e proprio romanzo d’avventura. Il nome del protagonista, poi, lo predestina in qualche modo all’avventura. Dell’Ulisse del mito, Aldrovandi eredita l’attenzione sul mondo. E del romanzo d’avventura La penna della fenice adotta tutti gli stilemi: il rarissimo oggetto magico recuperato in un Oriente prospero di leggende, un eroe ancora ignaro del proprio potere, il suo famiglio, l’incontro con esseri dalla maestosità straordinaria e dalla saggezza sovrannaturale, una missione da compiere.
Rambaldo, un vecchio amico di famiglia, rientrato da uno dei suoi lunghissimi viaggi, porta in dono a Ulisse una penna speciale. Si tratta di una penna magica, poiché magico è l’uccello che ne è rivestito. Non è una magia che si svela a chiunque, però, e uno degli aspetti più riusciti del romanzo sta proprio in questa ambiguità lasciata da Bucar circa la veridicità e l’autenticità della piuma di fenice. È davvero un oggetto magico o è la fantasia galoppante di Ulisse bambino a ricamare sulla realtà, a rendere straordinario l’ordinario?
Sta di fatto che Aldrovandi, entusiasta, mette subito alla prova il suo nuovo strumento. Si renderà presto conto, tracciando i contorni di un uccellino, di riuscire, con la penna di fenice, a dare letteralmente vita ai propri disegni. Non a tutti, però: solo a quelli che raffigurano animali e piante. Ancora una volta, che gli animali disegnati da Ulisse attraversino per davvero il perimetro ben delineato del foglio nella nostra realtà o meno non è rilevante. Anzi, a ben guardare, potremmo dire che quelle creature d’inchiostro (sirene, capinere, unicorni, salamandre, fenici, gazze, draghi), che nessuno prima di lui si era preso la briga di catalogare sul serio con interesse scientifico, abbiano effettivamente cominciato a esistere dal momento che il naturalista li ha impressi sulla carta. Per certi versi, le sue creature sono ancora vive, immortali come fenici, perché quei disegni esistono ancora.
La penna della fenice, dunque, oltre a rappresentare il raffinato racconto semi-biografico della genesi del primo naturalista d’Europa, è anche metafora per qualcos’altro. Lascia sotteso, come il filo d’oro nella piuma del maestoso uccello, il messaggio che il più grande compito dell’arte e dell’artista sia rendere possibili mondi impossibili e, attraverso le esplorazioni di questi universi anomali popolati di strane creature, crescere ed esplorare fuori e dentro noi stessi.