Ci sono diritti che, in teoria, non hanno a che fare con l’orientamento politico. Ci sono diritti universalmente riconosciuti, incisi nella Costituzione, che li esige e che chiarisce come non siano discutibili. Diritti che però, alla fine, diventano sempre una questione da partiti. Ne avevamo parlato in merito a quelli civili, affermando che non si tratta di questioni ascrivibili alla destra o alla sinistra, ma che dovrebbero incontrare l’interesse di tutti. Se ne potrebbe parlare riguardo ogni tipo di discriminazione, razziale, religiosa, abilista. E torniamo a discuterne adesso, in merito a come la parità di genere è affrontata nei programmi elettorali.
Il voto si avvicina, e di problemi di rappresentanza non stiamo neanche a parlare. Parliamo, più che altro, dell’incapacità della classe politica di tradurre in programmi prima e in leggi poi ciò che non è richiesto da una parte dell’elettorato, ma dalla Costituzione stessa. Se per raggiungere la parità di genere si stima ci vogliano oltre cento anni, dopotutto, non è solo a causa dell’arretratezza culturale, ma dello scarso impegno della classe politica nel perseguirla. Il raggiungimento della parità di genere, infatti, riguarda tutti e le politiche da attuare in tal senso non sono opinioni e non possono essere piegate dalle ideologie che compaiono nei programmi elettorali. Si tratta di questioni oggettive, misurabili, la cui risoluzione va perseguita attraverso strade certamente non semplici, ma perlomeno ben definite.
Nel caos di promesse che non verranno mantenute che i partiti di ogni ordine e grado hanno rilasciato all’interno dei programmi elettorali, ciò che riguarda la parità di genere è lo sconfortante dipinto di un’Italia a cui dei diritti delle donne non interessa granché. Destra e sinistra personalizzano le proprie proposte con le loro chiare ideologie, eppure non esistono idee soddisfacenti, idee pratiche realmente funzionanti che tentino in modo più convincente di sconfiggere la disparità tra i sessi.
Già promotore di proposte che distruggono la stessa definizione di parità di cui si fa portavoce (vedi TASP), il Partito Democratico dedica un’intera parte del proprio programma elettorale alle donne che, insieme ai giovani, sembrano la fetta più calpestata di popolazione. Nel Piano straordinario per l’occupazione femminile che non meglio definisce gli interventi che intende fare, il PD si dice sostenitore dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne e della incomprensibilmente discussa Legge 194 e basa la propria battaglia sulla parità salariale e sui congedi parentali, con l’obiettivo di rendere strutturali i meravigliosamente pochi dieci giorni di cui oggi i padri dispongono. Il vessillo della cogenitorialità.
Alla vaghezza del partito di Letta si contrappongono le proposte scandalose del MoVimento 5 Stelle, che dopo la leggera virata a manca rispetto al suo originale né di destra né di sinistra, partorisce – verbo non casuale – una proposta che piacerebbe molto a Meloni. Pensione anticipata per le mamme lavoratrici, un bel premio pensato per le vere donne – perché senza prole che donna sei – che è un modo indiretto per pagarle per figliare, qualcosa di non tanto diverso da ciò che è già stato sentito nei tempi in cui il ruolo di madre era dichiaratamente l’unico destinato al sesso femminile. Se mentre hanno figli piccoli le donne sono mortificate e tagliate fuori dal mondo del lavoro, se chiedere un congedo equivale a essere lasciate indietro, finalmente saranno ricompensate, ovviamente solo quando i figli saranno già grandi e non avranno più nessuno di cui prendersi cura invece di lavorare.
Niente di meglio, ovviamente, in quel di destra. Per la Lega, è inaccettabile che le donne siano costrette a scegliere tra maternità e lavoro, ma prima che vi facciate strane idee su una presunta intenzione di condividere equamente il lavoro di cura, ecco che arriva la proposta per incentivare la maternità. Alle donne, che comunque hanno il compito di contrastare la denatalità e far prosperare il Paese, non può essere negato il lavoro, e dunque che ottengano entrambe le cose, che lavorino il doppio, senza condividere gli impegni familiari con i partner. E se i figli sono questioni da donne, deve ovviamente interessare solo loro la proposta di ridurre l’IVA su pannolini e latte in polvere – sugli assorbenti no però – e, ovviamente, una bella esenzione a vita dalle tasse sui redditi per le mamme che si prendono cura di almeno quattro figli.
Comune a tutti i partiti del polo di destra, la proposta di non meglio identificati sgravi fiscali per le aziende che assumono donne incinte, neo madri e, in generale, donne in età fertile. Della lotta alla maternità surrogata di Fratelli d’Italia e Forza Italia non stiamo neanche a parlare, basata su una fasulla intenzione di tutelare le donne dall’essere semplici incubatrici, a cui poi sono ridotte dalle loro stesse proposte. Ma per il partito di Giorgia Meloni ciò che più è in vista è la pericolosa deriva della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. All’attendibilissima dichiarazione di non voler abolire la 194, noi ci crediamo, poiché Fratelli d’Italia ci ha già dimostrato che se ne può tranquillamente impedire l’applicazione senza eliminarla.
Il caso delle Marche ne è la prova, regione in cui abortire è impossibile a meno che non si abbiano disponibilità economiche e libertà di movimento, poiché è difficilissimo trovare centri in cui farlo e la procedura è più lunga che altrove. Meloni afferma di voler insegnare alle donne che possono anche scegliere di non abortire ma, di fatto, le sue azioni non portano a una scelta ma a una causa di forza maggiore. Se invece di insegnare la prevenzione e la contraccezione, se invece di eliminare gli ostacoli economici e sociali che rendono la vita di una madre tanto difficile, come le limitazioni lavorative, l’assenza di assistenza da parte dello Stato e la stessa cultura patriarcale che in qualche modo penalizza le donne anche se fanno figli, se invece di scegliere interventi utili si continua a permettere alle associazioni antiabortiste di piazzarsi nei consultori, è difficile credere che quella di non abortire sia una scelta e non un’imposizione.
Alla evidente inadempienza dei programmi elettorali di destra riguardo la parità di genere, però, non si contrappongono politiche di sinistra più rassicuranti. Il problema di tanti partiti non è solo la credibilità riguardo l’intenzione di una effettiva attuazione di certe politiche. Il problema comune a PD, Italia Viva e Azione, ma anche a Unione Popolare e Possibile (che ha dedicato alla parità di genere molto più spazio nel suo programma elettorale) è la fattibilità. Non ci sono riferimenti concreti ai budget necessari, non è indicato il modo in cui certe politiche possano essere messe in atto, politiche costose che non si autofinanziano, politiche per le quali sono necessari lavoro, intenzione e fondi.
Mi sono forse rassegnata al fatto che non vedrò mai la parità di genere con i miei occhi, che non la vivrò mai sulla mia pelle, perché la strada è lunga e la mia vita troppo breve. Ma io e tutti quelli come me, quelli che vedono il problema, quelli che lo sentono, non possiamo rassegnarci all’idea di non provarci neanche. Non possiamo permetterci di votare partiti che non provino a migliorare le cose, a porre le basi per un cambiamento che, per quanto distante, deve essere perseguito ogni giorno.
Non penso di essere l’unica a non sentire che le proprie battaglie siano davvero completamente sposate dai partiti politici che concorrono alle elezioni. E non penso che quello della parità di genere sia l’unico tema a vivere questo problema di rappresentanza. Quello che so per certo, però, è che la parità di genere non dovrebbe essere una questione politica, una questione di orientamenti o partiti. Dovrebbe essere obiettivo di tutti il rispetto di quei principi racchiusi nella Costituzione, che esigono uguali condizioni, uguali possibilità e parità. Ed è compito e dovere di chi ci governa creare le condizioni perché quei principi trovino una pratica applicazione nella vita vera.