Dopo l’incredibile progetto portato a termine da Carmignano e Ciminelli, altri uomini furono attratti dal sottosuolo di Napoli. Nella seconda metà del Seicento il topografo Antonio Galluccio realizzò delle mappe delle acque pubbliche che si rivelarono molto preziose per gli studi successivi. E, ancora, nel 1836 va ricordata l’opera dello scrittore e studioso Emmanuele Bidera, pubblicata con il titolo Passeggiata per Napoli e contorni, considerata una vera e propria guida, arricchita da illustrazioni. In questo volume, vi è una ricostruzione, confermata poi da successive indicazioni, che precisa come alla fine dell’Ottocento fosse possibile entrare nella città parallela nella zona dei Ponti Rossi e attraversarla sino al mare. L’esplorazione più famosa però fu compiuta negli ultimi anni del secolo da un avventuroso ingegnere napoletano, Guglielmo Melisurgo. Questo dirigente del Comune si dedicò completamente all’indagine degli antichi acquedotti non appena terminò l’ennesima epidemia di colera, l’ottava degli ultimi quattro anni, provocata dalla vicinanza di fogne e sistemi idrici in seguito ai crolli e sprofondamenti che si verificarono in città appena ripristinata la fornitura d’acqua nel 1581 dopo un terremoto.
Tra il 1883 e il 1884, Melisurgo realizzò un vero e proprio viaggio sotterraneo, un’avventura scientifica che prense vita grazie all’opera pubblicata nel 1889, Napoli sotterranea: topografia della rete di canali d’acqua profonda, contributo allo studio del sottosuolo di Napoli. Ancora oggi, questo volume viene considerato fondamentale sia per gli studiosi che per gli appassionati. In seguito alle varie “passeggiate”, nelle quali veniva accompagnato da un semplice fontaniere comunale, Nunzio Esposito, in Melisurgo nacque la consapevolezza che l’epidemia potesse essere collegata al cattivo stato degli acquedotti. Purtroppo, realizzò che il problema principale era l’ignoranza topografica della città sotterranea. L’ingegnere riuscì così a individuare una divisione delle aree del sottosuolo in cinque quartieri delle acque: San Lorenzo, Banchi Nuovi o Spirito Santo, Monte Calvario o Carità, San Ferdinando e Regi Studi, contando infine 3250 pozzi solo per l’acquedotto della Bolla. Anni dopo Melisurgo arrivò alla conclusione che si possono incontrare tre differenti Napoli sotterranee: una prima, a poca profondità dal suolo stradale, ovvero la rete di fognature; una seconda, molto più vasta e percorribile che si estende sotto l’abitato della vecchia Napoli, costituita da una vasta rete di cunicoli con circa cinquecentomila grotte cavate nella roccia di tufo, e infine una terza, formata da diverse grotte necessarie all’estrazione del tufo da costruzione.
L’ingegnere individuò così che i canali hanno sempre sezioni variabili, alcuni rettangolari a cielo aperto, altri con suolo piano. Non sempre nell’apertura dei canali viene conservata la pendenza nel verso in cui deve scorrere l’acqua, molte volte sono cavati a livello e si prestano così a poter portare il liquido in un senso e nell’altro. L’accesso ai canali ha luogo o da pozzi verticali esistenti nella sede stradale e sono di minor numero, ovvero dai pozzi nelle abitazioni, o da sotterranei esistenti nelle case e qualche volta adibiti un tempo a deposito carni o come ricovero per animali. Esistono, inoltre, due grandi categorie di pozzi, quelli di passaggio e i pozzi isolati. I primi si trovano adiacenti al percorso di un canale e, quando non hanno un lato confinante con lo stesso, ne restano divisi da uno spessore di tufo da un metro a due. Il pozzo assume le sembianze di un informe pilastro, nel mezzo del quale vi è la traversa che lo lascia comunicare con il canale. I secondi si trovano nella testa di un canale, che termina con essi. Il pozzo, inoltre, è costituito da tre parti principali: la vasca, la campagna e il dritto. La vasca è cavata nel tufo, a forma di prisma retto a base rettangolare o quadrato, con il fondo leggermente a conca nel centro ovvero inclinato verso un punto. La campagna, invece, è il vuoto, si trova superiormente alla vasca e risponde alla copertura che prende il nome di cielo. Il dritto infine è il pozzo verticale che mette in comunicazione la vasca e la campagna con l’interno delle abitazioni della città e, attraverso questo, si esercita il tiro dell’acqua.
Oltre questi tre elementi essenziali, nel pozzo ve ne sono altri: i passeggiatoi e il surchio o sorgivo. I primi sono banchine di limitata altezza e sono distribuiti in giro della vasca e all’imposta della campagna. Il surchio, ovvero luogo di discarico delle acque, è un pozzetto laterale alla vasca e, mentre questa è ricoperta di spesso intonaco sulle pareti e sul fondo per un’altezza che non giunge mai fino al piano del passeggiatoio, esso è nudo di qualsiasi rivestimento. In pratica, il surchio serve per la pulizia della vasca e tra i due vi può essere una diretta comunicazione. In breve tempo, l’acqua della vasca penetra nel surchio e grazie alle diverse fenditure che si trovano in esso, viene assorbita dalla massa tufacea per ricomparire sottoforma di acqua sotterranea nella parte bassa della città. Lo svuotarsi della vasca, quindi, dà la possibilità di pulirla perfettamente. Quando non esiste questa tipologia di comunicazione, il compito di svuotare e spostare l’acqua, spetta ai pozzari utilizzando dei semplici secchi.
Nonostante la produzione di un dossier su tali tematiche, molto prezioso per gli studiosi, ben poco fu fatto per completare il lavoro. Nel 1892 i dissesti si moltiplicarono, di fatto la rete fognaria non fu più in grado di smaltire i nuovi flussi d’acqua e il Ministero dell’Interno nominò una commissione di tecnici per lo studio del sottosuolo di Napoli. All’inizio degli anni Trenta le cronache riportarono con maggiore frequenza notizie di crolli e voragini nel sottosuolo di Napoli, così nel 1934 il Sindacato Ingegneri decise di indagare sulla relazione tra dissesti e cavità. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, però, le caverne artificiali furono riaperte alla città di sopra. I bombardamenti aerei spinsero la popolazione alla ricerca di rifugi e decine di migliaia di persone trovarono salvezza nelle antiche grotte, che vennero ristrutturate per adeguarle alla nuova funzione. Tutti questi interventi finirono con il tagliare e frammentare il grande labirinto della città sotterranea che, fino a quel momento, era stato possibile attraversare da parte a parte grazie alla chilometrica rete di cunicoli, gallerie e passaggi.