La città di Napoli, fondata tra due complessi vulcanici, il Vesuvio e i Campi Flegrei, poggia le sue fondamenta su una coltre di materiali piroclastici sciolti, le pozzolane, alla cui base si rinviene un potente strato di roccia lapidea di origine vulcanica, il tufo. La piroclastite originaria, infatti, è proprio la pozzolana, materiale dal quale deriva il tufo, dopo che questo si è sedimentato. Causa della trasformazione sono le sostanze volatili ancora calde che la pozzolana trascina con sé, le quali, reagendo con la sua base vetrosa, formano nuovi materiali, le zeoliti, che cementano la roccia. Così si passa dalla pozzolana al tufo, ossia pozzolana auto-cementata.
La “tipizzazione” procede dal basso verso l’alto, con un termine di passaggio tra i due elementi: il mappamonte. Naturalmente lo spessore di pozzolana tufizzata diminuisce man mano che ci si allontana dal centro di eruzione, la cosiddetta scaturigine, che può essere un condotto eruttivo o una frattura. Non conosciamo con esattezza dove fosse la scaturigine del tufo giallo, ma la si può generalmente collocare nella parte centrale dei Campi Flegrei, tra Monte Gàuro, Soccavo e Fuorigrotta. Procedendo verso sud, invece, diminuisce il tufo ma aumenta la pozzolana non trasformata, mentre a est di Capodimonte il tufo quasi scompare, per riapparire a ovest dove si incontrano grandi cave.
Il tufo vulcanico, specialmente quello napoletano, è una roccia con caratteri ben marcati, è leggero, poroso, non difficilmente erodibile, ma, essendo formato da frammenti auto-cementati, non tende a scivolare. Si presta facilmente allo scavo di trafori e, difatti, grazie a questa sua caratteristica i Romani ne ricavarono gallerie stradali, tra cui la Grotta di Seiano e quella di Pozzuoli. Inoltre, si presta bene come pietra da taglio con il vantaggio che la sua porosità ha buone qualità termostatiche. È, inoltre, la roccia adatta al clima partenopeo, poiché in un contesto freddo cadrebbe in disfacimento per azione del gelo e del disgelo. Non a caso i blocchi di tufo delle mura greche sono ancora perfettamente conservati. Naturalmente, non si presta come pietra da pavimentazione stradale e a questo scopo è classico a Napoli l’impiego della lava vesuviana.
La città partenopea, nel corso dei secoli, ha sempre sfruttato la pietra dei suoi colli e del fondo delle sue valli per crescere verso l’alto ed è quindi stata costruita con la stessa pietra del suo sottosuolo, con una continuità geologica forse unica al mondo. Complessivamente le tipologie di grotte artificiali esistenti nel sottosuolo napoletano sono sei: tombe e luoghi di culto, cisterne pluviali isolate, acquedotti, cave di tufo, cave di lapillo e pozzolana, gallerie e camminamenti sotterranei. Le fondazioni dei palazzi spesso poggiano direttamente sul banco di tufo sottostante e, secondo alcuni, questa pratica avrebbe reso la città più “elastica” salvandola dai tanti terremoti che si sono avuti nel corso dei secoli. Inoltre, una terribile onda sismica risulterebbe attenuata grazie a tutte le cavità del sottosuolo.
Non si sa, però, chi abbia iniziato l’uso di scavare queste cavità. Probabilmente le notizie più antiche risalgono al tempo dei Cimmeri, abili minatori provenienti dal Caucaso che nell’VIII secolo a.C. popolarono la regione. Lo storico Plinio il Vecchio e molti altri autori dell’epoca romana raccontano che i Cimmeri abitassero poco lontano da Napoli, sulle sponde del Lago d’Averno, in grotte e dimore sotterranee chiamate Argillae, e che vivessero con i guadagni delle loro miniere. Il geografo Strabone, invece, ci riferisce degli Eumelidi, un popolo che viveva a Neapolis e che si occupava di miniere e di tombe. Si sa tuttavia con certezza che solo nel III secolo a.C. i Greci aprirono le prime cave sotterranee per ricavare i blocchi di tufo necessari alle mura della città.
Gli scavi iniziarono sull’Isola di Megaride e, successivamente, si spostarono in via definitiva sulla terraferma, probabilmente perché i Greci furono attirati dalle rocce gialle del Monte Echia, un vulcano spento che sorge alle spalle dell’attuale Piazza del Plebiscito, poi adibito al culto del dio Mitra, oggi utilizzata come garage. Questo popolo straordinario continuò a scavare e costruire, innalzando le prime mura della città e gli edifici prelevando il tufo proprio dalle cave sottostanti. Ancora oggi, una di queste miniere è intatta, sebbene l’ingresso fosse crollato già in epoca greca. È stata rinvenuta nel 1981 sotto il Cimitero del Pianto.
Un articolo ben illustrato e comprensibile a tutti. Complimenti Potrei aggiungere che i grandi o meglio i colti visitatori della antichitàà osservavano ch esolo Napoli poteva vantare costruzioni altissime per quei tempi .E tale era possibile perchè si disponeva appunto della pietra detta tufo, leggero, poroso . solido ed altro ancora