Siamo dei cattivi mangiatori, e lo siamo non solo perché, il più delle volte, mangiamo in maniera poco sana, ma anche e soprattutto perché non ci interroghiamo quasi mai sulle origini dei cibi che ci troviamo nel piatto. Al di là dell’interesse per la preparazione delle pietanze – accresciuto anche dal grande successo dei vari programmi televisivi culinari – difatti, molto raramente ci chiediamo quale percorso nella storia abbia dovuto affrontare un preparato prima di arrivare nel nostro stomaco. Eppure, se è vero che siamo quello che mangiamo è importante, oltre che piacevole e divertente, soffermarsi su queste indagini e andare alla scoperta delle derivazioni di ciò di cui ci nutriamo e deliziamo. Di certo, ogni località, come per tutte le cose, ha le sue specificità, conseguenze di vari fattori che vanno dalle condizioni ambientali al tenore di vita, fino a processi storici. Attraverso il cibo, quindi, si possono operare interessanti ricostruzioni.
Oggi, dunque, vogliamo parlare di un prodotto tipico della nostra cucina, dal Sud fino al Nord. Ci riferiamo alla salsiccia, o meglio alla lucanica, conosciuta anche come luganega in alcune regioni settentrionali. A dire il vero, diverse zone si contendono la provenienza della preparazione, soprattutto il Veneto e la Lombardia. Tuttavia, come si può facilmente intuire dal nome, essa è da far risalire alla regione storica della Lucania, corrispondente all’odierna Basilicata e a parte della Campania e della Calabria. Quindi, la nostra squisita disquisizione attorno alla materia della salumeria deve inevitabilmente partire dall’epoca romana. A testimonianza dell’origine lucana ci sono pervenuti i contributi, oltre a quelli di Cicerone e Marziale, anche dello storico Marco Terenzio Varrone che, nel De lingua latina scrisse: Chiamano lucanica una carne tritata insaccata in un budello, perché i nostri soldati hanno appreso il modo di prepararla dai Lucani.
Il popolo dei Lucani fu, infatti, conquistato dai Romani nel III secolo a.C. e, dunque, la specialità fu introdotta nell’Urbe dai soldati ma anche dalle schiave. La pietanza fu particolarmente apprezzata, oltre che per il sapore, anche per la facilità di trasporto e per la conservazione, con il sale – salsiccia sta appunto per “carne salata”- che conferiva alla carne di maiale. Non essendovi infatti frigoriferi o altre sostanze conservanti, si ricorreva appunto al sale e alla lenta stagionatura, proprio come si fa ancora oggi. Grazie alla tradizione contadina, ancora in auge nelle zone di montagna, la preparazione odierna è, infatti, esattamente come quella delle prime ricette delle quali possiamo avere memoria. Tra queste, la più dettagliata e particolare che ci è pervenuta è di Apicio, nel De Re Coquinaria del I secolo d.C.: Per fare le lucaniche: si trita pepe, comino, peverella, ruta, prezzemolo, spezierie dolci, coccole di lauro, salsa d’Apicio; e si mescola il tutto con polpa sminuzzata, pestando poi di nuovo il composto insieme con salsa, pepe intero, molto grasso e finocchi. Insacca poi il tutto in un budello allungandolo quanto è possibile. E così si sospenda al fumo.
Orbene, la salsiccia, come appurato, nasce in Lucania ed è da qui, poi, che si diffonde e radica in diverse località. Proprio per questo, come dicevamo, a contendersi impropriamente i suoi natali sono non solo diverse regioni italiane (Lombardia e Veneto in primis, a seguire il Trentino Alto Adige), ma anche la Grecia.
Per quanto riguarda la zona lombarda a importare la prelibatezza furono sicuramente i Longobardi che, nell’ambito della loro discesa lungo la penisola, occuparono anche la Lucania. Meno probabile è, invece, la versione che vuole l’invenzione del preparato da parte della regina longobarda Teodolinda, la quale poi ne avrebbe fatto dono ai cittadini di Monza. Per il Veneto, infine, il percorso è più complesso dato che, come pare, a diffondere la lucanica fu il contributo nel X-XI secolo del Principe Arnaldo Zamperetti da Cornedo. L’ambasciatore, recandosi a Rodi in servizio per la Serenissima Repubblica di Venezia, tradusse i volumi culinari di Timachida, trovati in una biblioteca del posto e grazie a questi apprese l’arte della salsiccia. Difatti, come accennato, il preparato lucano si diffuse ampiamente anche in territorio ellenico, tanto è vero che proprio Timachida da Rodi, nel I-II secolo a.C., ne parlò nei suoi ricettari come piatto tipico da insegnare ai cuochi che frequentavano la sua Accademia. Invero, la diffusione in Grecia si ebbe, molto probabilmente, a seguito della guerra dei Lucani contro Taranto in cui la città pugliese, per avere la meglio nello scontro, nel 323 a.C. chiamò in aiuto Alessandro I d’Epiro, il “Molosso”, nonché zio di Alessandro Magno che riuscì a sconfiggere i nemici, liberando le città ioniche e deportando a Epiro molte persone del posto, che, con il passare del tempo, insegnarono e diffusero nell’intera Grecia la tecnica della “loukanika”.
Dunque, con questo excursus attraverso le fasi storiche di tale prelibatezza nostrana – che peraltro ci rende consapevoli della portata e del valore della stessa – non può che arrivare l’invito alla degustazione della squisitezza per eccellenza della salumeria, magari accompagnandola con pane fresco e buon vino nelle tante sagre estive dei paesini di tutto lo Stivale. Ma oltre a questo, l’invito più sentito è sicuramente quello di indagare sempre su ciò che mangiamo perché è un modo, anche piuttosto divertente, di studiare chi siamo stati, chi siamo e anche chi saremo. Dalla storia della salsiccia, ad esempio, si evince nettamente quel carattere di multiculturalità della nostra penisola, da sempre crocevia di popoli e tradizioni più disparati. Emerge, inoltre, quel nostro essere esportatori di buona cucina, addirittura fin dall’antichità. Quando all’estero sugli scaffali di qualche market vedete un pezzo di lucanica, ricordate che quello è un pezzo della nostra storia. Un pezzo della nostra millenaria civiltà rurale.