Tempi duri per i sognatori, ma anche per i lettori. Nell’arco di un mese sono state piegate tre delle librerie italiane più simboliche, luoghi eclettici con volumi introvabili e, ancor di più, punti di incontro e centri di pensiero. La parola stampata muore per l’allarme climatico con l’inondamento della libreria Acqua Alta di Venezia e per preoccupanti motivi ideologici con l’incendio appiccato alla Pecora Elettrica poco prima della sua riapertura. E arriva questa settimana da Roma la notizia della chiusura della storica Libreria del Viaggiatore, accompagnata da un disincantato messaggio sui social a firma dei titolari: Cari viaggiatori, allo scoccare della mezzanotte tra le luci di Capodanno, dovremmo lasciare questo luogo e non abbiamo un piano b. La Capitale deve dire addio al luogo storico e di culto per i lettori viaggiatori romani e non, situato nella sede di via Pellegrino, dove un enorme patrimonio di volumi è stato collezionato dal 1991 a oggi.
Periodo sventurato per le librerie italiane, quasi ad aver perso il senso più alto di una delle iscrizioni pubbliche più antiche del mondo: Libri, medicina per l’anima è inciso sull’ingresso della centenaria biblioteca di Tebe. Nell’era più digitale di sempre, l’unica parola possibile è una parola evanescente, sospesa perennemente a metà, cancellabile con un click e priva di memoria storica. I gestori della Libreria del Viaggiatore raccontano le difficoltà di mantenere vivo un centro culturale nella Roma contemporanea, cercando di rinnovarsi e di trovare un compromesso tra il verbo stampato e l’indifferenza dilagante, mirando a un punto d’incontro con le esigenze di un nuovo pubblico. I titolari puntano il dito verso un’amministrazione che fa ben poco per la valorizzazione del libro e della lettura.
La Libreria del Viaggiatore è stata negli ultimi anni un luogo in cui lavorare, condividere e inventare, raccontando la difficile situazione delle librerie indipendenti italiane, come la bottega veneziana con i suoi volumi, ormai perduti, rarissimi, in lingua dialettale e simbolo di una lunga storia editoriale. Al pari della romana, anche Alta Acqua è stata considerata tra le librerie più belle del mondo: le due nascono dall’esperienza di singoli uomini insoliti con la loro creatività e genialità, frutto di una vita di viaggi e di libri raccolti in due dei quartieri più suggestivi e affollati delle rispettive città, costruendo un piccolo microcosmo singolare e autentico. Avere una tradizione è meno che nulla, è soltanto cercandola che si può viverla, così Cesare Pavese disse in un saggio di presentazione della prima edizione italiana di, non a caso, Moby Dick di Melville. Esperienze simili, connesse alla dimensione del viaggio, ha permesso di cercare laddove non vi era la possibilità concreta di esplorare: sfogliare tra i volumi di queste librerie indipendenti – del tutto autofinanziate – ha consentito di trovare la propria storia, confrontandosi con la storia degli altri.
Le sorti delle due librerie, nonostante i tentativi di ricostruzione, svelano una più profonda crisi del libro e della lettura. Un profondo mutamento culturale in senso digitale è avvenuto nel mondo editoriale, superando la finalità delle librerie con fenomeni di self-publishing, scouting ed emersione dal web. In un mondo in cui la tecnologia mira a rapporti il più possibile diretti, continuativi e senza mediatori, si rischia quindi l’imbarbarimento della cultura, di cui il libro è il principale simbolo e le librerie i suoi custodi.
Ma la città di Roma comprende davvero l’enorme patrimonio lasciato dall’esperienza di un librario come Bruno Boschin, fondatore della Libreria del Viaggiatore? Probabilmente no è l’unica risposta possibile nei confronti di un perenne tentativo di quantificare economicamente delle esperienze che, invece, sul territorio romano hanno un valore inestimabile. Roma non si occupa dei suoi figli minori, non curante perché minimo è il guadagno proveniente da piccole realtà, permette invece che librerie vengano incendiate e non tutela le attività artigianali storiche. E se la Città Eterna è in tutto il mondo nota quale museo a cielo aperto, per l’amministrazione, come denunciano i gestori, nell’ultimo decennio conta solo che sia un enorme supermercato senza limiti. Qualcuno, quindi, sa cosa vuol dire rinunciare al pezzo di storia che la libreria rappresenta?
Si può essere un giramondo anche dal proprio divano, amava ricordare Boschin, stimato da un pubblico eterogeneo di lettori curiosi di viaggiare e avventurarsi in tutti i continenti soltanto varcando la soglia della piccola bottega dietro Campo de’ Fiori, con un catalogo di circa 10mila titoli arricchiti nel corso degli anni. Nella libreria si alternano guide turistiche a opere letterarie e poetiche, mappe antiche e recenti, memorie e diari di esperienze di vita, un vero monumento alla letteratura di viaggio per turisti di passaggio, viaggiatori incalliti, appassionati o anche solo persone che amano vagabondare con la mente, ora costretto ad abbandonare la sua storica sede.
Ma i gestori non si danno per vinti: la libreria sarà visitabile fino a Natale e ogni acquisto sarà utile per il suo futuro. A partire dal prossimo 29 novembre invitano i lettori a comprare un pezzettino di libreria, da portarvi a casa, che selezioneremo per tutti voi. E la sera, sempre di venerdì 29, una piccola festa d’addio dal tramonto all’alba, per supportare e salutare un’altra libreria che se ne va.