È l’intercambiabilità dei ruoli di preda e predatore l’insegnamento che si può trarre da La lezione, l’ultimo libro di Marco Franzoso edito da Mondadori. Già autore di vari romanzi, di cui il più famoso Il bambino indaco (Einaudi 2012), Franzoso dà una svolta alla sua produzione letteraria con un thriller sui generis, che dimostra al lettore di cosa possono essere capaci le persone comuni per salvarsi la vita.
Il romanzo si apre sulla vita di Elisabetta Sferzi, una giovane avvocatessa che conduce una vita normale, forse definibile banale. Un lavoro che sembra svolgere con non troppo entusiasmo, una relazione che va avanti per inerzia con un uomo dalle dinamiche tossiche sempre tollerate, una vita familiare alla quale potrebbe donarsi di più. Sin dall’inizio del racconto ci sono tante cose che non vanno nella vita di Elisabetta, sebbene lei non dia troppo peso a ciò che accade. Una vita che, dunque, procede pigra fin quando non si scatena l’elemento che trasformerà la sua storia normale in un thriller: si rende conto che un vecchio cliente, condannato per abusi e violenza, è di nuovo in libertà e inizia a perseguitarla.
Ciò che maggiormente sorprende del personaggio di Elisabetta è la sua ingenuità. La protagonista di La lezione reagisce con ingenuità alle cose della vita, dalle molestie sul lavoro subite da una collega alle vessazioni del fidanzato inetto, ed è con altrettanta ingenuità che affronta il terrore provocato dalla presenza di uno stalker che aveva avuto modo di minacciarla con la promessa vendetta. Eppure, ciò che scopre non appena la partita si fa più dura e il suo predatore si avvicina è che anche lei può farsi predatrice e scovare un lato oscuro scatenato dall’istinto di sopravvivenza – o forse sempre esistito.
Lo stile, scorrevole e vivido, che descrive scene tanto nitide che sembra di vederle, è l’accompagnamento perfetto per questo thriller-non thriller dalla narrazione incalzante. Il romanzo scorre velocemente: nonostante le dimensioni, è facile restare incollati alle pagine e arrivare alla fine per scoprire il finale. Caratteristica certamente comune a ogni romanzo di questo genere, La lezione non rispetta i canoni classici del thriller. Non è la suspense a stimolare la lettura, ma la curiosità, non sono la paura o la tensione, ma l’immersione.
Lo stile dell’autore, infatti, permette al lettore di immedesimarsi completamente nella vita della protagonista, di vivere le sue giornate e sì, anche lo stalking di cui è vittima. Ed è proprio l’immedesimazione a rendere ancora più straniante e bizzarro il suo comportamento di fronte alle situazioni, la sua ingenuità e, talvolta, passività, che improvvisamente si trasforma in azione furente quando realizza che, forse, per salvarsi deve fare cose che mai avrebbe pensato di poter fare.
Ma è senza dubbio l’epilogo a dare il senso più grande alla narrazione. Durante tutto il romanzo si affronta, seppure velatamente, il concetto di gabbia, di prigione. La protagonista si interroga più volte sulla natura della sua condizione di preda, sul non sentirsi tranquilla, sul sentirsi in qualche modo intrappolata. La stessa copertina del libro raffigura una vespa rinchiusa in un bicchiere: la sua prigione le permette di osservare il resto del mondo ma diventa, allo stesso tempo, tutto il suo mondo. E non c’è niente che possa liberarla.
La metafora della prigione trova spazio anche nella professione della protagonista, un avvocato la cui colpa, secondo il suo predatore, è quella di non averlo salvato dalla condanna e dagli anni di carcere che sono costati, in fondo, molto più a lei che a lui. Eppure, è solo alla fine della terribile e spaventosa disavventura che ci si rende conto che è il mondo stesso la prigione. Che la vita di quella vespa rinchiusa nella sua cella di vetro non è diversa dalla vita degli esseri umani, che trascorrono l’esistenza scappando dal pericolo per poi capire, quando forse è troppo tardi, che non si può fuggire davvero dal predatore se, dopotutto, si abita la sua stessa terra.