«I valori di una certa sinistra che fu, quella di Berlinguer – lavoro, fabbriche, operai, insegnanti, agricoltura, artigiani – adesso sono stati raccolti dalla Lega, quindi se il PD chiude in Botteghe Oscure e la Lega apre per me è un bel segnale». Sarà forse nostalgia delle origini o l’ennesima boutade, ma quella di Matteo Salvini è di certo una dichiarazione rumorosa. Proprio come previsto.
Ospite di Cairo a L’aria che tira, il senatore padano ha così commentato la prossima apertura della prima sede romana del Carroccio in quella che storicamente è la via identificata con il Partito Comunista Italiano. Sarà di fronte al Bottegone, infatti, che lo spirito carnascialesco tipico di Pontida albergherà nella Capitale, una provocazione voluta e ben riuscita che ha permesso al leader indiscusso della politica (?) nostrana di insistere sulla scena. Purché se ne parli, avrebbe detto Oscar Wilde. Alla faccia dei leghisti trogloditi. E se quella di Salvini è un’altra delle sue, l’ennesimo tentativo di restare a galla, c’è un grosso, enorme, affatto trascurabile ma. Un elefante nella stanza, scriverebbero quelli bravi. E si chiama Partito Democratico.
Perché se è vero che la Lega e il PCI avranno in comune soltanto l’indirizzo, è pur vero che il PD non riesce ad avere nemmeno quello. E non da oggi. Sono trascorsi vent’anni da quando Walter Veltroni decise di spostare la sede dell’allora DS dal civico 4 di via delle Botteghe Oscure. Ai tempi, i conti del partito erano in rosso – almeno loro – ma, dicono, la scelta di vendere rispondeva anche a un’esigenza di rinnovamento. O, forse, di presa di distanza. Il che, detto così, sarebbe suonato più coerente. Da allora, a ogni mitosi e cambio di stagione, l’ala sinistra del Parlamento ha spesso traslocato finendo, per volontà di Dario Franceschini, con lo stabilirsi in quel del Nazareno, tuttora messo in discussione e celebre per lo scellerato patto omonimo di cui ancora paghiamo le conseguenze. Un patto che, più di ogni trasferimento, pare rispondere in modo inequivocabile all’indignazione oggi millantata per la scelta del Carroccio.
Fa, infatti, amaramente sorridere la reazione dei dem alla provocazione leghista. Da tempo e a ogni occasione, il Partito Democratico rinnega volutamente la storia e la tradizione di quello che fu il PCI. Dapprima i simboli, poi il linguaggio, infine le politiche. Da tempo e a ogni occasione, l’attuale sinistra ha smesso di parlare ai propri elettori, agli operai, agli insegnanti, ai precari, a chi ha lavorato per una vita e sa che non avrà mai diritto a una pensione. Ai giovani senza futuro, a tutti quanti non riescono e non possono più riconoscersi in quelli che dovrebbero essere i valori propri di quei rappresentanti, di quei leader che oggi dicono di volersi opporre alle destre comunemente etichettate come sovranismi perché fascismo sembra antiquato. La sinistra ha smesso i suoi panni sporchi di fatica per un maglioncino di cachemire profumato finendo per imborghesirsi, proprio lei che con la borghesia poco o nulla dovrebbe condividere.
Non c’è bisogno di andare troppo distante negli anni per comprendere quanto affermato. Basti ripensare, per restare nel passato a noi più prossimo, alla leadership di Matteo Renzi, probabilmente la più esplicitamente lontana dalla sinistra che fu, una strada fedelmente seguita da Gentiloni e da Zingaretti poi, con fierezza e altrettanta scarsa determinazione. Dalle politiche migratorie a quelle economiche, dalla scuola al lavoro, il PD – dunque, in termini di rappresentanza, il maggior partito di sinistra italiano – ha rinnegato se stesso e l’aggettivo per nulla accessorio che porta nel nome, quel democratico oggi più simile a elitario.
Ne è un esempio il finanziamento alle scuole private di appena pochi giorni fa, rivendicato con orgoglio da tutte le parti sedute in Parlamento – a esclusione dei 5 Stelle – per un totale di 300 milioni che, forse, sarebbero stati più utili ai fatiscenti istituti statali lasciati alla mercé non solo dell’inadeguatezza dell’attuale Ministro ma, anche, di anni e anni di mancanze e svilimento. Una misura salutata con fervore dallo stesso Graziano Delrio che quasi in concomitanza elogiava gli imprenditori italiani, a suo avviso gli eroi di questa pandemia. Al diavolo gli operatori sanitari, i medici, gli schiavi dei supermercati, i corrieri, al diavolo i braccianti, i rider, insomma tutti i lavoratori che nelle settimane più dure non hanno conosciuto lockdown ma soltanto l’ennesima paura, il rischio di diventare pericolo e non soluzione. Il rischio di morire pur di lavorare e di lavorare pur di non morire. Come sempre in Italia.
Per il capogruppo dem è, infatti, agli imprenditori che mettono idee e coraggio al servizio del lavoro che la politica deve riconoscere sostegni economici e procedure semplici ma efficaci, non agli altri, non a quanti si sono visti negare stipendi, sussidi o, addirittura, DPI. Non a quanti ogni giorno, COVID o meno, al servizio del lavoro mettono la propria vita per permettere agli imprenditori l’acquisto della casa al mare. Quelli sono soltanto effetti collaterali. Fortuna che ognuno ha gli eroi che si sceglie.
Ma se per un Delrio che alla buona notizia delle terapie intensive vuote in quel di Bergamo scrive che un risultato simile è possibile anche grazie a medici, infermieri, operatori della sanità – quasi a rimarcare il concetto di cui sopra – potremmo reagire con lo sdegno di chi sa che quelle terre stanno risorgendo solo grazie al sacrificio delle figure elencate, non possiamo non saltare dalla sedia quando Beppe Sala, il Sindaco dal calzino arcobaleno, fa il verso a Susanna Ceccardi, candidata alle Regionali toscane tra le fila della Lega.
In diretta Facebook, infatti, il Primo Cittadino ha sostenuto che se un dipendente pubblico, a parità di ruolo, guadagna gli stessi soldi a Milano e a Reggio Calabria, è intrinsecamente sbagliato, perché il costo della vita in quelle due realtà è diverso. Un discorso non così dissimile dalle parole della collega secondo la quale è giusto che i medici calabresi guadagnino meno perché non sono un’eccellenza. Non come quelli emiliani, ad esempio. A entrambi, quindi, viene da rispondere: i servizi, le infrastrutture, la qualità della vita sono gli stessi? E le tasse? Piuttosto che aumentare e fare delle disuguaglianze un vanto, non sarebbe il caso di abbattere le differenze salariali e di garantire a tutti – nessuno escluso – le stesse opportunità formative e di riscatto? Non ci aspettiamo che la Ceccardi ci segua, ma che Sala – uomo di sinistra, dicono dalla regia – parli di gabbie salariali dovrebbe far riflettere eccome. Così come dovrebbe far riflettere il suo endorsement pro-Indro Montanelli degno della migliore Giorgia Meloni.
Tutti facciamo errori, disse il Sindaco quando la statua del celebre giornalista fu imbrattata. Dimenticava, però, che alcuni sono più errori di altri, che sono crimini e non meritano monumenti ma giustizia, quantomeno condanna, come quella mai arrivata al Pirellone e a se stesso per la Milano (e la Lombardia) che non si ferma perché il governo – quindi (anche) il PD – non l’ha mai realmente fermata. È questa, dunque, la sinistra? È sinistra quella dell’apertura sempre più insistente a Forza Italia, al tabù Berlusconi ormai ufficialmente abbattuto per il senso istituzionale che lo contraddistingue – si ricordi il Bunga Bunga a Palazzo Grazioli – e che prima Prodi (!) poi Orlando, Epifani e Marcucci hanno voluto sottolineare? Sono questi i valori di chi si indigna quando si cita Berlinguer? O a indignarsi dovrebbe essere chi a quel PCI diede il proprio voto e oggi si ritrova a darlo ai signori sopracitati? Cosa c’è in comune? Nemmeno l’indirizzo.
Ecco che allora, alla luce di una riflessione appena accennata su quella che è oggi la sinistra nel nostro Paese, la frase di Salvini suona diversa, provocatoria sì ma, anche, un involontario assist a chi quegli ideali li sostiene in cabina elettorale e nega ciò che è sotto gli occhi di tutti: in Parlamento non vi è sinistra. E non c’è perché continuiamo a scegliere chi finge di rappresentarla. Chi, con la scusa dell’abbassiamo i toni, ha permesso agli altri di alzarli sempre più fino a diventare gli unici in grado di farsi sentire. Chi tra le urla nemiche – ma non troppo – ne ha ripercorso le orme, mangiando ciliegie dietro le quinte di barconi lasciati al largo, Ius Soli rinviati per finalità politiche e terre espropriate per inutili grandi opere. Chi, sguaiatamente ridendo dell’ignoranza altrui, ha fatto della propria prosopopea radical chic – questa sì – un motivo di vanto dimenticando che la politica è mettersi al servizio della comunità, soprattutto di quella che ne ha più bisogno. Chi ha permesso a Pierferdinando Casini di sedere sotto la foto di Enrico Berlinguer con tanto di tessera di partito.
Giù le mani da via delle Botteghe Oscure, dunque, ma giù le mani anche dalla sinistra. Salvini, dicono, era un giovane comunista. E il PD?