Le abbiamo sentite tutte durante questi primi cinque mesi di guerra tra Russia e Ucraina: che inviare le armi a Kyiv fosse l’unica via per la pace; che aumentare le spese destinate alla difesa fosse una responsabilità da assumersi a tutti i costi; che, in fondo, persino lo studio di Dostoevskij potesse risultare divisivo… Insomma, nel nome del conflitto, politica e stampa hanno fatto propaganda di ogni genere di schifezza.
Sono mesi che l’Unione Europea e gli Stati Uniti si adoperano quotidianamente per inviare materiale bellico in Ucraina, mesi che miliardi di euro vengono spesi per armare l’esercito di Zelensky e prolungare, così, uno scontro nel cuore del continente che ha già fatto decine di migliaia di morti. Al contempo, sono mesi che chiunque si interroghi sulla sensatezza di tale operazione viene prontamente tacciato di guardare agli interessi di Putin, di essere filo-russo, persino filo-nazista.
Assistiamo – da un lasso di tempo sufficientemente preoccupante – a un’omologazione dell’informazione che non lascia scampo al pensiero critico, che segue la scia dei governi progressisti del mondo nella loro rincorsa al mercato e mette sul banco degli imputati le persone. Questo processo (di cui ha goduto il governo Draghi, ad esempio) ha dirottato l’opinione pubblica anche per ciò che riguarda la guerra tra Russia e Ucraina, lasciando campo libero a iniziative degli Stati che, altrimenti, avrebbero scatenato un dibattito feroce, forse persino una sollevazione popolare.
Tra queste risoluzioni vi sono le sanzioni inferte da Bruxelles e da Washington a danno del governo di Mosca, ammende che hanno – allo stato attuale – prodotto l’unico effetto di affamare la popolazione europea, costretta a un vertiginoso rincaro dei costi di qualsiasi bene: dal grano per il pane alla benzina, passando per l’energia elettrica, finendo alla carta su cui stampiamo i nostri libri tra mille difficoltà.
Alzi la mano chi alla domanda del 7 aprile scorso di Mario Draghi, «Preferite la pace o il condizionatore acceso?», non ha pensato di aver diritto a entrambi. L’arroganza adoperata dall’ex Premier è la stessa dell’intero comparto europeo, unito soltanto nell’incolpare le abitudini delle persone di una situazione generale drammatica che, al contrario, è a totale appannaggio dei potenti del pianeta.
A ogni modo, con lo stesso spirito con cui la popolazione mondiale ha accettato un drastico (e non sempre giustificato) ridimensionamento delle proprie libertà durante le fasi più acute della pandemia da Covid-19, questa ha accettato di stringere ancora una volta la cinghia sperando in un cessate il fuoco che non solo non è avvenuto neppure per garantire i corridoi umanitari, ma che è ben lontano dall’accadere nelle intenzioni di Putin e anche di chi abbaia ai confini dello zar.
Così si spiega l’incredibile mossa della Germania di sospendere le sanzioni nei confronti di Mosca per consegnare una turbina di ricambio alla russa Gazprom. Il timore che Putin tagliasse le forniture di gas ha minato alla credibilità di tutta l’azione di forza promulgata fino a questo momento e che ha avuto l’effetto di soffocare le famiglie italiane ed europee nei rincari.
La ripresa delle forniture di gas attraverso il canale che dalla Siberia pompa verso Berlino e l’Europa coincide con l’entrata in vigore di una modifica al regime delle sanzioni favorevole a Mosca e alle sue principali aziende, la Gazprom e Rosneft, una presa in giro totale se si pensa che, nel frattempo, sul fronte opposto, Bruxelles continua a rifornire l’esercito di Zelensky di carri armati e munizioni pesanti. Dunque, da che parte stiamo?
Come si può più affermare – dopo questa risoluzione – di volere la pace se, nel frattempo, si finanziano entrambi gli schieramenti opposti sul campo di battaglia? Questa folle guerra nel cuore dell’Europa assume sempre più i contorni dell’immagine che ne ha dato il Papa lo scorso maggio: «L’abbaiare della Nato alla porta della Russia ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare la guerra. Un’ira che non so dire se sia stata provocata ma facilitata forse sì».
Con ciò non si vuol certo porre in dubbio la presenza dell’invasore e di un popolo aggredito nella propria sovranità, ma questa guerra, con gli sviluppi e il recente allentarsi delle sanzioni, si dimostra sempre più una montatura creata ad arte per ridefinire i confini e soprattutto i rapporti di forza sui mercati, con il mondo in crisi e le risorse che non sono più nelle mani di chi pretende di comandare.
Il conflitto tra Russia e Ucraina rende ancora più chiaro – semmai se ne fosse sentito il bisogno – che la classe politica che ha governato negli ultimi vent’anni si è adoperata solo ed esclusivamente per gli interessi dell’establishment, per le banche, i petrolieri, per i cosiddetti poteri forti. Ha lavorato, al contempo, a disegnare come nemico del progresso e della libertà chiunque abbia mai osato porre in dubbio i valori atlantisti, sciorinando esempi di fascismo – guarda caso – coincidenti soltanto con esempi di dittature comuniste.
Altro che cancel culture nei riguardi del povero Dostoevskij, l’unico e vero limite che questa versione 3.0 del mondo iperconnesso ha contribuito a creare è una linea di polvere disegnata attorno a ciascuno di noi, un’idea di libertà immensa nel segmento prestabilito che va da A, probabilmente di Amazon, a B, quella di Biden. Perché, in fondo, è sempre dall’altra parte dell’oceano che si decidono le sorti del mondo.