Il dagherrotipo, nato nel 1837 dalla collaborazione tra J. Nicéphore Niépce e L. J. Mandé Daguerre, era un’immagine fotografica realizzata su un supporto di rame argentato che veniva perfettamente lucidato per essere sensibilizzato alla luce. La lastra, una volta preparata, veniva esposta ai vapori di iodio che, combinandosi con l’argento, la predisponevano per l’esposizione nella camera ottica. Al termine di tale fase, veniva poi trattata con vapori di mercurio, il quale si mescolava con lo ioduro d’argento formando così l’immagine. Questa veniva stabilizzata grazie all’immersione della lastra di rame in una soluzione di cloruro di sodio, (procedimento che prese il nome di fissaggio) e infine lavata e asciugata.
La lastra aveva diversi formati: lastra intera (full plate) – 215×165 mm; mezza lastra intera (full/half plate) – 180×140 mm; mezza lastra (half plate) – 160×120 mm; quarto di mezza lastra (quarter/half plate) – 130×100 mm; quarto di lastra (quarter-plate) 105×80 mm; sesto di lastra (sixth-plate) – 80×70 mm e nono di lastra (ninth-plate) – 70×55 mm.
Il dagherrotipo era una copia unica e si presentava allo stesso tempo come immagine negativa e positiva a seconda dell’incidenza dei raggi luminosi sui sali d’argento che componevano l’immagine. Proprio per questa sua caratteristica era chiamato anche specchio dotato di memoria.
In un primo momento le lastre vennero preparate manualmente dal fotografo, in seguito preparate artigianalmente in serie e contrassegnate da un marchio di fabbrica. Si trattava di un simbolo impresso in un angolo delle stesse composto dalle iniziali del fabbricante e da un numero che indicava il rapporto tra l’argento e il rame. L’unica grande mancanza del dagherrotipo e di tutte le altre tecniche fotografiche messe a punto nel secolo scorso era l’incapacità di restituire la realtà con le sue sfumature.
A tal proposito, diversi furono gli studi e gli esperimenti condotti per ottenere un dagherrotipo a colori, ma dai risultati sempre insoddisfacenti. Proprio per questo motivo i pittori e i miniaturisti applicarono le loro conoscenze tecniche alla colorazione manuale. Va detto che due furono i metodi messi a punto: l’applicazione del colore sulla lastra attraverso un procedimento fisico e l’applicazione chimica del colore attraverso un processo elettrolitico.
Il primo metodo fu messo a punto, in Svizzera, da J.B. Insering intorno al 1840, utilizzando colori a pigmenti trasparenti depositati in successione con un finissimo pennello; ciascuna area era circoscritta da una maschera per evitare sovrapposizioni tra i colori. Il secondo metodo, messo a punto da D. Davis jr di Boston nel 1842, consisteva nel depositare colori chimici sopra la lastra argentata per mezzo dell’elettrolisi. La lastra era immersa in una soluzione chimica e sottoposta a elettrolisi, ottenendo una variegata gamma di colori. Questo metodo, però, era abbastanza complesso e, quindi, non ebbe molto successo.
L’astronomo francese François Dominique Arago disse: Il signor Daguerre ha scoperto schermi speciali sui quali l’immagine ottica lascia un’impronta perfetta, schermi dove tutto quello che l’immagine conteneva viene riprodotto nei più minuti particolari con esattezza e finezza incomparabili. In effetti, il dagherrotipo fu davvero una rivelazione straordinaria.