Chiamatele guerre stellari, come quelle di reaganiana memoria programmate nel secolo scorso, o anche forza spaziale, nella versione dell’attuale inquilino della Casa Bianca, ma la storia è la stessa e, purtroppo, si ripete. Il rafforzamento dell’asse geopolitico ed economico Russia-Cina e le numerose difficoltà personali di Donald Trump e della politica interna statunitense concorrono a definire le strategie dei principali protagonisti-governanti del pianeta all’insegna del mostrare i muscoli.
Il Presidente americano intende far uscire gli USA dal trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) sul disarmo e sul controllo delle armi nucleari che venne ratificato a Washington l’8 dicembre 1987 e sottoscritto da Ronald Reagan e Michail Gorbačëv, a distanza di un anno dal vertice tenutosi nell’ottobre dell’86 tra i due leader mondiali a Reykjavik, in Islanda. L’evento concluse la vicenda degli euromissili – vale a dire quei missili nucleari a raggio intermedio installati da USA e URSS sul territorio europeo – e fu considerato come un passo fondamentale per la sicurezza degli Stati continentali e per un futuro di pace nel mondo intero.
Ai nostri giorni, in risposta ai “cattivi” comportamenti dei russi, che avrebbero ripetutamente violato l’accordo e, da tempo, stanno formando un asse non solo economico ma anche militare con la Cina, la cronaca politica ci racconta, invece, della nuova sfida del Tycoon a quelli che considera i nemici “esterni” del paese nordamericano. In effetti, da quando l’amministrazione Trump ha innalzato i dazi per salvaguardare il proprio mercato e le multinazionali hanno ridotto la loro presenza su quello cinese, le reazioni del gigante asiatico sono andate nella direzione di un maggiore consolidamento dei rapporti con Putin. A sentire la sfuriata del Vicepresidente statunitense Mike Pence, fatta in un convegno all’Hudson Institute nei primi giorni di ottobre, infatti, la Cina si comporterebbe in maniera prepotente nei confronti delle aziende americane presenti nel suo territorio, starebbe militarizzando il Mar Cinese Meridionale e tramerebbe, finanziando centri universitari e imprese commerciali, contro la rielezione del Presidente USA. Da altre aree del mondo, intanto, arrivano notizie che preoccupano l’opinione pubblica, perché aumentano gli investimenti asiatici in Europa e molti Paesi membri della UE stanno cercando di approntare misure comuni per limitare tale espansionismo commerciale nel Vecchio Continente.
In Africa, invece, la presenza cinese degli ultimi decenni ha impressionato alcuni esperti che parlano di una vera e propria colonizzazione economica, perché le imprese made in China estraggono materie prime importanti e acquistano terreni. Notevole è anche il flusso di immigrazione asiatico, composto da tecnici, ingegneri, ma anche contadini. Per mantenere bassi i prezzi delle loro merci, molti imprenditori delocalizzano le loro attività e, dalla Guinea allo Zimbabwe al Kenya, si accordano con i governi “forti” per tenere a bada il malumore degli oppositori politici locali, sempre più preoccupati da questa invasione.
La Russia, nel frattempo, ha dovuto affrontare le sanzioni europee e statunitensi volte a delimitare il campo di azione economico-finanziario e militare della potenza eurasiatica, soprattutto negli scenari geopolitici che comprendono anche aree del continente africano e persino quelle più instabili del Mediterraneo, dove – come succede nel martoriato teatro di guerra mediorientale – intorno alla lotta al terrorismo internazionale e all’ISIS, si giocano tornaconti finanziari di portata mondiale. In diverse zone del pianeta, insomma, gli interessi economico-politici russi trovano un’alleanza sempre più serrata nell’espansionismo cinese. Non a caso, durante le manovre militari denominate Vostok 2018, definite come le più imponenti dalla fine della Guerra Fredda e svoltesi a settembre in Siberia e nell’estremo Oriente del Paese euroasiatico, c’è stata la folta e gradita presenza di truppe inviate dalla Cina.
Trump, intanto, continua a rispondere a quella che definisce la macchina del fango, dagli scandali privati al Russiagate e oltre, che i suoi oppositori interni gli avrebbero scatenato contro. Sul fronte sociale e politico degli States, inoltre, le ultime notizie ci parlano di un vero e proprio terrorismo interno, con i pacchi-bomba inviati all’ex Presidente Obama, a Hillary Clinton e alla sede della CNN e con la strage alla Sinagoga di Pittsburgh. Per affrontare le difficoltà della sua amministrazione in vista delle imminenti Elezioni di Metà Mandato (Midterm Elections), la risposta del Presidente statunitense alla definizione di una sempre più articolata alleanza tra la Russia di Putin e la Cina guidata da Xi Jinping non si è fatta attendere. Gli USA, infatti, si appresterebbero, ancora una volta in nome della sicurezza nazionale, a un rafforzamento del complesso industriale-militare, comprendente anche gli armamenti nucleari, in un progetto di forza spaziale in grado di mettere a punto un sistema articolato e diffuso di difesa/offesa da contrapporre alla possibile minaccia militare dell’asse euroasiatico.
Nulla salus bello, non c’è salvezza nella guerra recita un’antica sentenza latina più che mai attuale anche nel secondo decennio del XXI secolo e del Terzo Millennio. Eppure, c’è qualcosa di perverso e inestirpabile nel cuore dell’homo sapiens sapiens se la scienza e la tecnologia sembrano già appartenere al futuro, mentre la socialità e l’organizzazione della convivenza tra gli abitanti della Terra restano segnate dalla violenza che ha caratterizzato la storia umana più lontana nel tempo.