Cambiano i tempi, cambiano le latitudini, ma le dittature restano sempre uguali a se stesse. Tra propagande subdole e invasive, eliminazioni anche fisiche ed esautorazioni delle opposizioni, ciò che nella Storia, da Oriente a Occidente, le ha contraddistinte – a prescindere dall’ideologia posta a fondamento – è il loro innestarsi su una cultura, per così dire, machista.
L’uso indiscriminato della forza e le intimidazioni intese come strumento di potere, infatti, trovano legittimazione nel momento in cui si lancia il messaggio che l’unica categoria meritevole di comandare è quella del “maschio”. Non a caso, come possiamo ricordare, è anche sulla retorica del “maschio forte” che si sono fondati i nazionalismi del Novecento. Lo stesso Mussolini costruì il suo potere attorno all’esaltazione della virilità italica e dell’uomo guerriero dedito alla patria e alla famiglia.
Anche oggi, purtroppo, dinanzi alle incertezze economiche e agli sconquassi geopolitici – come sempre prodromici dell’affermazione degli autoritarismi – una certa politica, pure in Italia, è tornata a esprimere, su questioni di portata internazionale, valutazioni del tipo “c’è bisogno di uomini forti al potere”. Ancora una volta, evidentemente, si pensa che la risoluzione delle insidie – peraltro molte costruite ad hoc come capro espiatorio – possa passare solo attraverso l’imposizione di figure dominanti, seguendo quella legittimazione carismatica del potere della quale parlava anche il filosofo tedesco Max Weber. Secondo questa concezione, dunque, è chiaro che qualsiasi cosa vada a intaccare l’impostazione suddetta è necessario, per loro, che venga marginalizzata, repressa o nascosta. Pertanto, prima fra tutte, ieri come oggi, è l’omosessualità a preoccupare perché potrebbe minare quell’idea, assurta a base della struttura sociale, del maschio che deve essere duro e puro a tutti i costi.
A tal proposito, è di questi giorni la notizia delle persecuzioni ai danni delle persone omosessuali in Cecenia. Di fronte all’accusa delle ONG per i diritti umani, ha destato sorpresa la risposta del despota Kadyrov, attraverso il suo portavoce, secondo cui non è possibile che nel suo territorio vengano perpetrate le persecuzioni delle quali è accusato perché, molto semplicemente, gli omosessuali in Cecenia non esistono. È del tutto evidente che ammettere la presenza di persone gay significherebbe riconoscere che anche i loro uomini possano provare attrazione per individui dello stesso sesso e questo, per loro, sarebbe inaccettabile.
A riprova dell’osservazione che i regimi dittatoriali fondamentalmente non cambiano mai, è curioso notare che la questione veniva affrontata allo stesso modo proprio dal fascismo. Il codice Rocco – il Codice Penale del 1930 – difatti non prevedeva espressamente il “reato di omosessualità” perché, come per i ceceni, perseguirla penalmente avrebbe significato riconoscere la sua esistenza come fenomeno consistente tra gli uomini italiani. Lo stesso Alfredo Rocco disse: “Il turpe vizio non è così diffuso in Italia da richiedere l’intervento della legge penale”. Ciononostante, ci si intenda, questo non vuol dire che non fossero previste punizioni e, di conseguenza, che la condizione gay fosse rosea, ma solo che si agiva diversamente nella repressione. Difatti, si ricorreva soprattutto al confino, il quale ben si prestava a “cancellare” e a nascondere lontano il “problema”. Molti omosessuali furono spediti sulle isole Tremiti. In special modo, l’isola di San Domino è passata alla storia poiché vi si creò una comunità capace di integrarsi con la popolazione di pescatori locali, una comunità che, a dispetto dell’esilio, riuscì a confrontarsi e a trovare la sua dimensione.
Tuttavia, proprio la particolarità del diritto penale italiano sul tema e il modo di agire ha paradossalmente avuto il merito di impedire che i gay venissero, come in Germania, sterminati in massa con le stelle rosa al petto, e ha, per giunta, evitato che negli anni del dopoguerra il nostro Paese si dotasse di leggi severe come le altre nazioni europee. Pensiamo, ad esempio, al Regno Unito, oltre che alla stessa Germania, che proprio recentemente ha ufficialmente espresso le sue scuse nei confronti della comunità LGBT, criminalizzata per legge fino a quasi agli anni Settanta.
Purtroppo però, questa specificità non era sintomo di un Paese all’avanguardia aperto e tollerante. Come detto, il nostro ordinamento non criminalizzava l’omosessualità solo ed esclusivamente perché si riteneva disdicevole anche semplicemente prenderla in considerazione. Questa mentalità, del resto, in una certa misura, è arrivata quasi fino ai giorni nostri se consideriamo quella volontà di ignorare giuridicamente – e non solo – la realtà delle coppie e delle famiglie gay, prima dell’approvazione faticosa di una legge parziale sulle Unioni Civili. Basti pensare, poi, che è sempre sulla base di questa mancata considerazione che il nostro Paese è l’unico che tarda a riconoscere una legge sul reato di omofobia.
Gli omosessuali non esistono: questa è stata – e purtroppo lo è ancora per alcune frange più estreme – la mentalità italica che ha accompagnato il processo dei diritti gay. Proprio come asserito dal despota ceceno. In verità, gli omosessuali non devono esistere perché il maschio deve essere forte. Si badi che, con quanto detto e in questa sede, non si vuole fare una condanna al concetto di forza tout court. Anzi, essa, intesa alla greca, è anche da riconoscere quale valore di massima nobiltà.
Di sicuro, però, ciò che emerge dalla impostazione culturale descritta e dal raffronto che si può operare tra le dittature moderne e quelle del passato è, in realtà, l’intrinseca debolezza di quei presunti “uomini forti” che vengono fatti sedere, o si siedono arbitrariamente, sugli scranni dirigenziali. In realtà, i dittatori sono deboli. Sono deboli perché incapaci di confrontarsi con la diversità e soprattutto incapaci di misurarsi con la propria sensibilità. Sono deboli perché sentono in continuazione minate le loro certezze, la loro forza e la loro mascolinità – ovvero le uniche basi del loro modo di intendere il potere – da chiunque possa indurli con l’esercizio della sua libertà, anche indirettamente, a un’autoanalisi critica. Ebbene, tornare a osannare questi uomini sul piano politico – mi si passi il rapporto un po’ duro con la sfera del privato – è un po’ come consegnare le nostre sorti a quegli uomini incapaci di accettare l’autodeterminazione di chi gli sta intorno, specie delle donne.
Non possiamo fidarci di mostri che, inabile a ragionare e a essere culturalmente forti, alzano facilmente le mani dato che, per loro, la violenza è l’unico modo per risolvere i problemi e per gestire la cosa pubblica. Non c’è bisogno, dunque, di persone al comando che diano dimostrazioni sterili di forza, come nei giochi tra ragazzini. Abbiamo piuttosto necessità di uomini e donne che, a prescindere dal loro orientamento sessuale, siano capaci di essere giusti, ragionevoli e democratici. In un mondo sempre più al plurale, e che quindi ha il compito di riconoscere la personalità giuridica e i diritti di tutti, l’unica cosa che merita di essere davvero respinta ed esiliata nello squallore di un dimenticatoio è solo la fallacia del fallocentrismo più bieco e oscurantista.
anche gli omosessuali sono frti, Giulio Cesare e alessandro Magno erano bisex e credo che nessuno possa definirli “deboli”. Poi che i maschi che ostentano forza siano in realtà fragili ci sta
anche gli omosessuali sono frti, Giulio Cesare e alessandro Magno erano bisex e credo che nessuno possa definirli “deboli”. Poi che i maschi che ostentano forza siano in realtà fragili ci sta
anche gli omosessuali sono frti, Giulio Cesare e alessandro Magno erano bisex e credo che nessuno possa definirli “deboli”. Poi che i maschi che ostentano forza siano in realtà fragili ci sta
anche gli omosessuali sono frti, Giulio Cesare e alessandro Magno erano bisex e credo che nessuno possa definirli “deboli”. Poi che i maschi che ostentano forza siano in realtà fragili ci sta