La crisi climatica che stiamo attraversando è senza precedenti. Il surriscaldamento globale e la siccità sono solo alcune delle sue manifestazioni. Fenomeni che non possono più essere ignorati e a cui probabilmente dobbiamo abituarci anche per i tempi a venire: ce lo dimostrano le temperature altissime che sono state sfiorate negli ultimi anni, anche in mesi in cui solitamente il clima dovrebbe essere più fresco, o le calamità “naturali” come nubifragi o cicloni che hanno caratterizzato l’ultimo periodo. Lo stesso crollo della Marmolada di pochi giorni fa – che è costato la vita a undici persone –, in base alle prime ricostruzioni, trova le sue cause nelle alte temperature che hanno causato la formazione di una grande quantità di acqua allo stato liquido, sottoponendo il ghiacciaio a uno stress senza precedenti.
Nelle ultime settimane l’attenzione al tema è stata particolare, con inviti da più parti a limitare gli sprechi, attraverso simboliche scelte individuali e collettive. La crisi che stiamo attraversando, infatti, è gravissima e dipende senza dubbio da azioni umane che si sono ripetute nel corso degli anni, fino ad assumere delle abitudini e uno stile di vita non etico, improntato al consumo sfrenato e irrispettoso.
Gli esempi che vengono ripetuti più spesso riguardano la scelta dei cibi da mangiare, l’utilizzo che facciamo dell’acqua, l’uso continuo di elettrodomestici. Basti pensare che in base all’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, il 22% dell’utilizzo delle risorse idriche dipende dalle industrie, il 69% dall’agricoltura e dall’allevamento, in particolare per la produzione di carne. Numerosi “sprechi” derivano poi dalla ristorazione, per cui anche se è possibile – in base alla ricerca Setting the sustainable development targets for restaurants anche Italian HoreCa sector – gestire un ristorante seguendo gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), solo una parte dei locali osservati segue questa pratica.
Numerosi Comuni e Regioni stanno quindi adottando ordinanze per contingentare l’utilizzo di acqua nelle abitazioni, negli esercizi commerciali e all’aperto: basti pensare che il Sindaco di Milano ha disposto la chiusura delle fontanelle stradali, in attuazione dello stato d’emergenza disposto dalla Regione Lombardia, così come dall’Emilia Romagna e dal Lazio. Il Comune di Bologna ha diffuso un decalogo rivolto ai propri cittadini che – ahinoi – ricorda molto le regole che si ripetono ai bambini ai loro primi anni di formazione, quando si tenta di avvicinarli alla tematica ambientale e si ricorda loro che bisogna preferire la doccia alla vasca o chiudere l’acqua mentre ci si insapona o si lavano i denti. Tuttavia, senza sminuire il valore simbolico di tali virtuose regole che tutti faremmo bene a rispettare, non ci si può illudere che impedire a barbieri e parrucchieri di fare un secondo shampoo, come è stato a Castenaso, o ai bagnanti di fare la doccia in spiaggia, come a Cogoledo, possa davvero fare la differenza in una crisi idrica e climatica a cui oramai è difficile porre un freno.
Le scelte individuali sono fondamentali perché possono poi tramutarsi in salde scelte collettive e di comunità, tuttavia una simile narrazione rischia di deresponsabilizzare le istituzioni rispetto alla necessaria creazione di politiche che rendano poi possibili tali azioni etiche. La crisi climatica attuale affonda le sue radici in politiche arriviste che hanno come unico obiettivo il guadagno: non ha alcun senso invitare i cittadini a scegliere un’alimentazione basata su prodotti etici, e rispettosi della natura e degli animali, se poi si permette una produzione spietata, facendo di fatto ricadere la responsabilità sul singolo imprenditore e poi consumatore.
Fino a quando tali politiche non saranno condivise, si porrà anche un secondo ordine di problemi, assolutamente non trascurabile: non tutti hanno la stessa possibilità di fare scelte etiche. Fino a quando produrre responsabilmente sarà una rarità con costi esorbitanti, non tutti i consumatori avranno pari opportunità di portare in tavola determinati prodotti, in particolare se si tratta di famiglie. Al contempo, basti pensare che a livello nazionale quasi il 50% dell’acqua che viene immessa negli acquedotti viene sprecata, con percentuali che diventano anche maggiori in alcune regioni del Sud. Questo è dovuto all’inefficiente gestione del sistema idrico, alla sua mancata manutenzione, a un disinteresse istituzionale a cui non si può rispondere con le sole scelte individuali.
Del resto, non è la prima volta che ciò accade: è successo con la gestione della pandemia, quando il più delle volte di fronte all’emergenza non si faceva altro che ripetere l’irresponsabilità degli italiani e quanto l’unica soluzione fosse da rintracciare nei comportamenti corretti dei singoli, che avrebbero dovuto rispettare le regole, vaccinarsi e non protestare, senza però informazioni attendibili e chiare. Mai un accenno al nostro sistema sanitario allo sfacelo, né al fatto che tutto quanto è avvenuto ha delle cause ben precise e delle conseguenze che sono dovute alla gestione scellerata del diritto alla salute e alla cura, oramai appannaggio di pochi.
Ancora più emblematica di un tale atteggiamento è forse la frase che gli italiani si sono sentiti rivolgere dal Presidente del Consiglio Draghi poche settimane dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino: «Sta a voi scegliere, i condizionatori o la pace». Se non fosse stata detta con tanta serietà, farebbe quasi ridere per la sua assurdità, per come si possa realmente credere di fermare una guerra, che trova le sue basi in precise scelte istituzionali europee e non, nel singolo che decide di non accendere il proprio condizionatore.
Coloro che ci rappresentano sono irresponsabili e continuamente alla ricerca di un capro espiatorio cui addossare le proprie colpe: se tutto è nelle nostre mani, qual è il compito delle istituzioni?