Da quando il 65enne Presidente Alexandr Lukashenko, al potere dal 1994, ha dichiarato la vittoria nelle elezioni presidenziali del 9 agosto scorso con l’80% dei consensi, è scoppiata la “crisi bielorussa”. Dall’opposizione e dagli osservatori della comunità internazionale il risultato non è stato riconosciuto perché sono state denunciate violenze e brogli avvenuti durante la tornata elettorale e, dalla capitale Minsk, nella settimana seguente, le proteste e gli scioperi, anche in alcune aziende statali, si sono diffusi in tutto il territorio dell’ex paese sovietico.
Nel frattempo, si sono susseguiti decine di feriti tra gli oppositori e migliaia di arresti da parte delle forze dell’ordine e tante sono le testimonianze massmediatiche dei segni lasciati sui corpi dei manifestanti arrestati e poi rilasciati. A metà agosto, nella capitale bielorussa, migliaia di cittadini hanno partecipato al funerale di Alexandr Taraikovsky, ucciso negli scontri con la polizia il lunedì precedente. I manifestanti hanno trasformato la celebrazione in una pacifica protesta, depositando fiori e accendendo candele davanti alla stazione della metropolitana Pushinskaya, dove era morto il giovane.
Qualche giorno fa, invece, la 37enne leader dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaya ha parlato in un video girato in una località protetta della Lituania, dicendosi pronta ad assumere la responsabilità di essere leader nazionale per un periodo di transizione e per organizzare nuove votazioni. Lukashenko ha risposto indirettamente – secondo quanto riportato dai media russi – dichiarando, in maniera vaga, che ci saranno nuove elezioni presidenziali dopo il referendum nazionale sulla Costituzione.
Le immagini della crisi bielorussa, intanto, grazie ai canali Telegram degli oppositori del più che ventennale potere autoritario dello “Zar di Minsk”, hanno fatto il giro del pianeta, mostrando una folla di manifestanti con cartelli e slogan radunata davanti alle sedi delle redazioni di Ont e Stv, le due reti televisive statali. In seguito, ci sono state le dure dichiarazioni del Presidente che minacciava un ulteriore uso della forza a salvaguardia del verdetto delle elezioni.
Parlando alla riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, Lukascenko ha affermato che l’Occidente finanzia i disordini in Bielorussia, prefigurando scenari di accerchiamento, anche di tipo militare, contro il paese. Il Presidente sa di poter contare sull’aiuto dell’amico Vladimir Putin contro le “ingerenze straniere” nella politica interna. La risposta russa, infatti, è arrivata dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, il quale ha ricordato che esiste un trattato di sicurezza collettiva e il Trattato sullo Stato dell’Unione di Russia e Bielorussia, che prevedono la reciproca assistenza, in caso di pericolo, aggiungendo che per il momento non vi è necessità di alcun intervento.
Dall’altra parte dell’Atlantico, intanto, Donald Trump ha affermato che la situazione in Bielorussia è terribile e che gli USA seguono con attenzione le conseguenze delle contestate elezioni e la repressione dell’opposizione. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, invece, ha chiesto al governo di Minsk di fermare la repressione e all’opposizione ha consigliato la ricerca del dialogo per la conservazione della pace interna. L’Unione Europea, infine, per voce di Charles Michel, Presidente del Consiglio, e di Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione dell’associazione dei Paesi europei, ha confermato che le elezioni svoltesi il 9 agosto scorso non sono state libere e non hanno rispettato i criteri internazionali. Inoltre, il Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli ha precisato che il futuro della Bielorussia può essere deciso solo dai suoi cittadini e, in effetti, l’UE imporrà sanzioni contro i responsabili delle violenze e delle violazioni dei diritti umani che ivi si stanno perpetrando.
Questo il quadro degli eventi riguardanti la crisi bielorussa, suscettibile di continui aggiornamenti per gli esiti non facilmente prevedibili. Alcune considerazioni generali, comunque, si possono fare sull’eterna distanza tra il dire della democrazia e del diritto internazionale e il fare dei governi interni ai paesi e della politica contemporanea. È il trionfo avvilente della doppia morale delle governance mondiali, che si indignano per la repressione delle proteste democratiche negli Stati che sono sotto l’influenza dei loro “avversari” e, allo stesso tempo, assumono atteggiamenti antidemocratici e intolleranti nelle vicende interne della loro nazione.
Per fare un esempio, fa impressione sentire il Presidente Trump che si preoccupa della democrazia e dei diritti umani sulla scena mondiale, mentre cerca di contrastare i suoi avversari interni in tutti i modi. Dall’intervento nel caso economico-finanziario del social TikTok fino alle esternazioni pubbliche, imbarazzanti persino per i politici del suo partito, sulla possibilità di non riconoscere un eventuale esito negativo alle prossime elezioni presidenziali negli States.
La crisi bielorussa, insomma, ci offre, attraverso le immagini e le informazioni che corrono sulle reti sociali, la vecchia e nuova narrazione del teatro politico nazionale e internazionale, dove si incontrano e scontrano la potenza, spesso prepotente, dei governanti degli Stati nazionali e l’impotenza degli organismi sovranazionali. Questi ultimi dovrebbero governare le relazioni tra i Paesi del mondo globalizzato e, soprattutto, garantire il rispetto degli assetti democratici e dei diritti umani per tutti gli abitanti a cui viene formalmente affidata la cittadinanza, ma che vivono, nella realtà economica, sociale e politica, in una dimensione esistenziale di sudditanza.