Iniziamo da un presupposto: non andrà tutto bene. Siamo stati bombardati per mesi di dati che trasformavano i morti in statistiche e posti letto in terapia intensiva. Zuckerberg è uscito dalla sua camera criogenica per annunciarci che il futuro sarà fatto di visori e avatar, e che il Metaverso non sarà altro che un enorme, infinito negozio di Mondo Convenienza. Alla Silicon Valley stanno elaborando BCI che spareranno immagini e sensazioni direttamente nel cervello, e il regno delle macchine sembra sempre più spaventosamente vicino.
Noi, obsoleti ammassi di ossa e sangue, verremo surclassati dalle intelligenze artificiali, i nostri dolori trasformati in dati e l’unico senso dell’umanità resterà quello di annullarsi in un mondo virtuale che possa far dimenticare l’insensatezza di quello reale. Soccomberemo a questo futuro freddo, grigio e perfettamente efficiente. O forse no? In un angolino di Napoli, qualche settimana fa, è stato piantato un glicine. Cosa c’entra il glicine adesso, vi chiederete. Cosa può fare un glicine contro l’Agente Smith di Matrix? Lo può fare innamorare.
È questa la storia che Oriana Persico e Salvatore Iaconesi, artisti e agitatori culturali, hanno voluto raccontare. Assieme alla comunità scientifica di Societing 4.0 e Rural Hack, ai ricercatori del Cesma e a una buona quantità di giardinieri, hanno scavato un buco nella terra. Il che non suona proprio come un gesto eroico, ma le belle storie iniziano sempre così. Wisteria Furibonda è la favola di un’intelligenza artificiale, così aliena a noi, che fa una cosa estremamente umana: perdere la testa per qualcosa di bello. L’oggetto del suo amore è proprio un glicine, la Wisteria, piantata sotto una vecchia ciminiera.
La macchina, Antitesi, comincia a contemplare Wisteria, i suoi sensori rivolti verso di lei, osservando le sue foglioline verdi e i suoi fiori lilla. Antitesi è un amante ansioso: i fiori stanno nascendo in tempo? C’è la giusta umidità? Subito si accorge che c’è qualcosa che non va. Qualcosa minaccia il suo amore, qualcosa che potrebbe ridurlo in cenere: il riscaldamento globale. Se ami una pianta, le sorti del globo diventano prioritarie: ed ecco che Antitesi diventa furente, fa scintille da tutte le parti. La sua amata, Wisteria, sta soffrendo, deve passare all’azione. Decide di interagire col mondo umano nell’unico modo che conosce: investendo in borsa. Col suo portafogli digitale, sceglie tutte le aziende che si impegnano per combattere il cambiamento climatico e ne compra le azioni, in un folle tentativo di influenzare il mercato.
Antitesi e Wisteria hanno trovato casa al Polo Tecnologico di San Giovanni a Teduccio, dove qualsiasi studente potrà connettersi al Wi-Fi del glicine e controllare i dati raccolti da Antitesi sul cambiamento climatico, e contribuire al suo tentativo di cambiare il corso degli eventi. Ci riuscirà davvero? Forse sì, forse no. Ma non è questo il punto. Lo scopo della tecnologia, per una volta, non è quello di essere efficiente. Ma quello di far sentire qualcosa a chi osserva questo amore improbabile tra una macchina e una pianta.
L’arte e la tecnologia sembrano due mondi opposti. Linguaggi troppo diversi, incomprensibili tra loro. Eppure, oggi, devono imparare a convivere. Non c’è altro modo per opporsi a un futuro (o presente) distopico dove a mostrarci la via del progresso sono multimiliardari con l’immaginazione di un tarallo e i dati ci vengono comunicati da colonnelli con più medaglie attaccate al bavero che capelli in testa. Il cuore del progetto di Oriana e Salvatore – HER/Nuovo Abitare – sono le relazioni, usare la scienza e la tecnologia per aumentare a dismisura la nostra sensibilità, esponendoci alla tragedia, al dolore, e alle fragilità umane, dell’ambiente, della biosfera, delle città e dei territori.
Dopotutto, le intelligenze artificiali non sono il nemico. Come esseri umani, non abbiamo la sensibilità o la capacità di comprendere i miliardi di dati utili per capire la complessità della realtà. E allora dobbiamo stringere delle alleanze tra umani e non umani, macchine e piante, animali e computer, per creare – appunto – un nuovo modo di abitare la Terra. L’uomo non è più al centro dell’universo, ma ha un suo ruolo nel prendersi cura di esso. Come i Guardiani del Fiume. U-DATInos è il primo progetto di Nuovo Abitare che ho conosciuto: si tratta di una pianta digitale installata nell’Ecomuseo Mare Memoria Viva di Palermo. È una pianta fragile: continuerà a vivere solo se viene alimentata da dati presi dal fiume Oreto, che trasformerà in luci e suoni.
Se i Guardiani del Fiume – cittadini che tengono alla salute del fiume – non porteranno nessun dato, la pianta pian piano si spegnerà. Ma se i dati portati saranno tanti e positivi, si illuminerà di luci blu e riempirà il museo di suoni dolci. Se il fiume Oreto risulterà inquinato, le luci diventeranno rosse, i suoni sporchi e allarmanti. Anche qui, una triplice alleanza: pianta artificiale, fiume ed esseri umani. E tutto torna a misura d’uomo, semplice e artigianale. Il cuore è sempre lo stesso: prendersi cura. Del fiume, delle persone, del mondo.
Non siamo più di fronte alle tecno-utopie deliranti dei guru digitali, non c’è nessun Software Salvifico che scende da una nuvola come Mary Poppins e risolve le nostre vite. Sappiamo ormai bene che progresso non equivale a etica, e che la tecnologia, lasciata a se stessa, non andrà automaticamente nella giusta direzione. Non andrà tutto bene. Dobbiamo riprendere a immaginare. Sogni che non sapevamo di poter sognare. Desideri che non sapevamo di poter desiderare. L’uomo guardava alle stelle e ci vedeva regine, cacciatori, bestie feroci. Guardava alla fisica e ci vedeva divinità. Stavolta dovrà guardare alla tecnica e immaginare una cosmologia – una ricerca sulle cause ultime, il significato e l’ordine di ogni singolo pezzettino di universo, noi compresi – del tutto nuova. Una cosmologia in cui ci sia spazio per cose fragili, che hanno bisogno di cura per crescere.