Parallelamente all’invenzione delle lastre negative alla gelatina bromuro d’argento, furono perfezionate anche le carte fotografiche. Ne vennero prodotte due tipologie: le tradizionali ad annerimento diretto al collodio e alla gelatina e le nuove alla gelatina a sviluppo. Le ricerche di G. Wharton Simpson diedero un grande impulso alla tecnologia delle nuove carte, portando all’invenzione, tra il 1864 e il 1865, delle celloidine, carte al collodio cloruro. Nel 1867 invece il chimico J. B. Obernetter, per la prima volta, le produsse a livello industriale, aprendo una manifattura a Monaco di Baviera.
Anche se i fotografi professionisti continuarono a preferire le carte all’albumina, fino al 1880, quando furono messe sul mercato le carte moderne, queste ultime ebbero maggiore popolarità. La struttura delle carte al collodio e di quelle alla gelatina ad annerimento erano diverse dalle precedenti. Fu infatti introdotto uno strato di barite (solfato di bario) fra la carta e l’emulsione, che aveva tre funzioni: coprire le fibre della carta in modo tale da far diventare la superficie perfettamente liscia, rendere la carta più bianca possibile così da aumentare il contrasto dell’immagine, e far aderire meglio al supporto il legante al collodio o all’emulsione alla gelatina. A seconda dello spessore dello strato di barite era possibile ottenere brillantezze diverse della superficie fotografica.
Con questa nuova carta fotografica e con la nuova emulsione, fu possibile ottenere delle immagini più nitide e ricche di dettagli, ma soprattutto un’ottima qualità dei chiaroscuri. Inoltre, si poterono ottenere delle immagini in bianco e nero con una vasta gamma di tonalità calde, dal bruno intenso sino al seppia tenue. Spesso le fotografie venivano virate all’oro e al platino e l’immagine assumeva toni più neutri, più decisi. Tantissimi fotoamatori iniziarono a usarle su larga scala, grazie alla rapidità della carta e quindi al loro facile impiego. Anche se lo spessore era maggiore rispetto alle carte all’albumina, venivano montate su cartoncini per soddisfare le esigenze legate al gusto di quegli anni.
A partire dal 1890, sempre per assecondare la moda, furono messe in commercio le carte al collodio con superficie opaca. Mentre dal 1910 questo tipo di carta non fu più prodotta in quanto soppiantata da quella alla gelatina a sviluppo le cui caratteristiche estetiche erano molto simili. Dal 1880, sulla scia della popolarità delle celloidine, vennero prodotte carte alla gelatina ad annerimento diretto con emulsione al cloruro d’argento, stabilizzato dalla presenza dell’acido citrico. Queste furono chiamate carte al citrato o aristotipi.
Dal 1882 la Kodak iniziò a produrre industrialmente le prime carte alla gelatina e al collodio cloruro d’argento, soppiantando definitivamente quelle all’albumina che però continuarono a essere preferite dai professionisti.
È difficile distinguere facilmente, a occhio nudo, le immagini su carta al collodio e quelle su carta alla gelatina ad annerimento diretto in quanto presentano le stesse caratteristiche estetiche. L’unico elemento di differenziazione è la tonalità delle immagini, tuttavia vi sono comunque difficoltà di lettura perché spesso entrambe erano sottoposte a bagni di viraggio all’oro e al platino per renderle più stabili. Infatti, anche in passato questa loro somiglianza creò una certa confusione, soprattutto sulla terminologia da adottare: per semplificare, dunque, il termine aristotipo venne scelto per indicare sia le carte alla gelatina che quelle al collodio.