Occhi grandi e torbidi, che con lo sguardo sembra quasi volerti divorare, capelli scompigliati, mani impastate di colore, spada pronta a essere sguainata, così come la sua lingua, perché quel temperamento burrascoso e tormentato se lo portava dietro sempre, quando dipingeva e quando era in mezzo agli altri. Ovvio, stiamo parlando di lui, il pittore Michelangelo Merisi (Milano 1571 – Porto Ercole 1610), noto ai più semplicemente come Caravaggio perché di Michelangelo ce n’era già uno e non potevano di certo confonderli.
Senz’altro una tra le personalità artistiche più rilevanti e rivoluzionarie di tutta la storia dell’arte, attivo a cavallo tra XVI e XVII secolo in Italia e precursore dell’arte barocca, padre spirituale della corrente del cosiddetto Naturalismo inteso come rottura di un’epoca, come concetto di pittura moderna, come volontà di osare, di scardinare e sperimentare, contro le censure e i preconcetti accademici dell’epoca. Forse l’unico pittore divenuto inconsapevolmente maestro di una scuola pittorica e di una vera e propria corrente, il Caravaggismo, sviluppatosi in Italia e nel resto d’Europa.
Forse anche l’unico in grado di acquisire una tale fama nel corso della sua vita che mai nessuno avrebbe potuto neppure lontanamente ipotizzare l’assurdo oblio nel quale fu confinato dopo il Barocco, come una presenza evanescente e innominabile peggio di Voldemort, destinata, tuttavia, a una grandiosa riscoperta nel Novecento. E destinata anche a essere protagonista di un numero considerevole di opere cinematografiche e televisive in suo onore.
L’ultima fatica è del 2022, firmata Michele Placido e in sala dal 3 novembre grazie alla 01 Distribution (Rai Cinema). L’ombra di Caravaggio, una co-produzione italo-francese, porta sullo schermo un viaggio anticonformista nell’operato e nell’esistenza inquieta, sublime e contraddittoria del celebre artista, assieme a tutto il suo entourage, concedendosi di tanto in tanto qualche licenza artistica, specie nel finale (tranquilli, niente spoiler).
Il volto di Caravaggio è quello di Riccardo Scamarcio, piuttosto somigliante fisicamente e ben calato nel personaggio dell’uomo tormentato e trasgressivo qual era, che osò sfidare i dettami del Concilio di Trento riguardo le precise coordinate da seguire nelle rappresentazioni sacre. Così, si circondava di prostitute, mendicanti e popolani ed essi divenivano sulle sue tele santi e madonne, in un’umanizzazione del divino che non poteva che suscitare un enorme scandalo. «Mi fa molto sorridere il fatto che Caravaggio nei suoi quadri sia riuscito a trasformare uomini e donne della Suburra in santi e madonne ancora oggi venerati nelle chiese» ha commentato Michele Placido in un’intervista. «Molti di coloro che ammirano i suoi capolavori non sanno che non si trovano di fronte a personaggi di fantasia, ma a uomini e donne realmente esistiti».
Il film introduce come filo conduttore della storia l’Ombra (Louis Garrel), unico personaggio di fantasia, una sorta di investigatore privato del Vaticano ingaggiato da Papa Paolo V (Maurizio Donadoni), con il compito di condurre un’accurata indagine per decidere se concedere o meno la grazia al pittore a seguito della sentenza di condanna a morte per aver ucciso in duello un suo rivale. Un espediente, quello dell’Ombra, molto simile a quello utilizzato nel film Loving Vincent, dove il postino ripercorre la vita, i luoghi, le conoscenze e l’arte di Van Gogh, poco dopo la sua morte. In questo modo, l’inquisitore aggiunge ogni volta un tassello in più alla sua ricerca che parte dalla marchesa Costanza Colonna (Isabelle Huppert), protettrice e amica del Caravaggio.
Tante le personalità di spicco che incontreremo in questo percorso: dal Cavalier d’Arpino a Filippo Neri (Moni Ovadia), agli amici e artisti Onorio Longhi (Carlo Giuseppe Gabardini) e Orazio Gentileschi (Lorenzo Lavia), ai cardinali Francesco Maria del Monte (interpretato dallo stesso Placido) e Scipione Borghese e il marchese Vincenzo Giustiniani, i quali gli commissionarono molti dei suoi dipinti più discussi eppure, grazie a tali amicizie importanti, salvati dalla distruzione. Fondamentali anche i suoi detrattori e rivali, come il pittore e biografo Giovanni Baglione (Vinicio Marchioni) o il prosseneta Ranuccio Tomassoni (Brenno Placido), notoriamente ucciso dal Merisi durante una partita di pallacorda, a seguito di una delle tante liti tra i due, episodio che lo costrinse a fuggire a Napoli nel 1606.
Ma non esiste Caravaggio senza le sue donne. E i suoi uomini. Sì, perché sebbene le produzioni continuino a mostrare il pittore unicamente come un donnaiolo, ancora si fa fatica a raccontare anche le varie storie omosessuali che certamente ebbe. Ricordiamo dunque le prostitute Lena Antonietti (Micaela Ramazzotti), Anna Bianchini e Fillide Melandroni, rappresentate spesso come la Vergine Maria, la Maddalena o altre sante. Ben noto è il caso della Morte della Vergine, oggi al Louvre di Parigi e all’epoca rifiutata per l’orribile oltraggio. Oppure Francesco Boneri, meglio conosciuto con il soprannome di Cecco (Tedua), anch’egli protagonista di svariati dipinti, ad esempio il celeberrimo Amor vincit Omnia.
Insomma, sebbene le vicissitudini di vita del Nostro non siano affatto noiose (interessante poter leggere la lunghissima lista di querele, anche piuttosto assurde, dell’epoca), a Placido diamo il merito di essersi concentrato molto di più sulla sua arte che sulle sue storie amorose. Un’arte sovversiva, caratterizzata da un profondo e talvolta crudo naturalismo nella resa del reale, l’uso di vigorosi contrasti chiaroscurali e una nuova dignità della figura umana priva di inutili patinature. Sacra come lo era la religione per Caravaggio. Come lo erano i piedi del mendicante che si riconosceva nelle sue opere. Semplicemente una religione con e per il popolo, lui stesso era considerato un pittore del popolo.
Il regista dirige un Merisi nella ricerca costante di quella luce, di quel vero, in fuga dalle oscurità dei propri tormenti, dall’Ombra. Eppure luce e ombra sono due facce indispensabili della stessa medaglia. «Forse l’Ombra siamo tutti noi» dice Placido. «Mi chiedo quanti di coloro che oggi apprezzano Caravaggio a quei tempi sarebbero stati d’accordo con la sua scelta di trasformare gli ultimi in santi e madonne ancora oggi venerati. Contrariamente a quello che può aver detto Poussin, Caravaggio non è venuto al mondo per distruggere la pittura, non amava altro che la pittura. Mai nessun artista si è tanto logorato i nervi nel tentativo di cogliere la verità in pittura».
Il sogno di Michele Placido di ritrarre Caravaggio su schermo viveva già alla fine degli anni Sessanta, quando era ancora allievo dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico. Qui sceglie di stare sì dietro la camera ma anche di impersonare il mecenate e amico Cardinal del Monte, in vesti forse eccentriche ma senz’altro di impatto. Tanta lode alle scenografie, le cui riprese sono avvenute tra Roma e, prevalentemente, Napoli – splendida la scena con Giordano Bruno (Gianfranco Gallo) nei sotterranei – con le ricostruzioni della Cappella Cerasi e Contarelli, mentre i sotterranei del Castel dell’Ovo diventano quelli di Malta. Suggestivi i rimandi alla drammaticità del teatro, con dipinti che diventano dei veri e propri allestimenti. In fondo, Caravaggio era una sorta di regista del suo tempo (non è un caso che il più grande studioso di Caravaggio, Roberto Longhi, tenesse un corso d’arte all’Università di Bologna e che uno dei suoi allievi fosse Pier Paolo Pasolini).
Resta tuttavia aperto il dibattito sulla volontà di romanzare opere biografiche al fine di dare un tocco di autorialità o semplicemente per esigenze di sceneggiatura. Forse dovremmo per sempre accontentarci di cogliere solo qualcuna delle infinite sfumature di Caravaggio. La sua rivoluzione, in effetti, sta nel risultare continuamente attuale anche dopo secoli.