Era il 1968 e, tra contestazioni giovanili e desiderio di autodeterminazione, un uomo scelse di ribellarsi al sistema fondando uno Stato tutto suo. Questo è L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, film Netflix distribuito il 9 dicembre 2020 e distintosi immediatamente. Il nome dietro la macchina da presa non ci è affatto nuovo: Sydney Sibilia, noto per aver diretto la celebre trilogia di Smetto quando voglio, una bella ventata d’aria fresca all’interno di uno scenario di commedie italiane piuttosto stantio.
Affiancato dalla fidata sceneggiatrice Francesca Manieri, Sibilia ha deciso di fiondarsi, stavolta, in un progetto assolutamente unico nel suo genere, motivato anche dal fatto che si tratti di una vicenda realmente accaduta. Capitò che, mentre bazzicava su internet e Wikipedia, una storia parecchio singolare catturò la sua attenzione: quella di Giorgio Rosa, ingegnere bolognese che ideò, progettò e realizzò la cosiddetta Isola delle Rose, una piattaforma marittima di 400 m² situata al di fuori delle acque territoriali italiane e che lui stesso volle proclamare come micronazione con il nome di Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose. Una storia perfetta per un film.
La pellicola ruota, appunto, attorno alle vicende immediatamente post laurea di Giorgio Rosa – interpretato da un magistrale Elio Germano –, al suo rapporto contrastante con l’ex fidanzata Gabriella Chierici, che l’ha sempre ritenuto un immaturo, e alla sua voglia di riscatto e autonomia in una società a cui non sente di appartenere. Idealista e creativo, decide perciò di mettere in pratica le sue competenze costruendo questa piattaforma al largo del Mar Adriatico. L’isola diviene presto attrazione turistica per svago e gaiezza, chimera e nucleo del pensiero libero da ogni restrizione. Possiede persino un governo, una lingua ufficiale (l’esperanto), una moneta e un’emissione postale. Perciò, il 1 maggio 1968, Giorgio va oltre la sua iniziale visione e autoproclama l’isola come Stato indipendente, portando il caso addirittura sul tavolo dell’ONU. Una situazione che al governo italiano sta piuttosto stretta. Ecco che entra in gioco Giovanni Leone e il suo Ministro dell’Interno Franco Restivo, desiderosi di risolvere al più presto la questione.
Nel cast, Germano a parte, si contano le presenze di non poco peso di Luca Zingaretti e Fabrizio Bentivoglio nei panni dei due antagonisti, forse un po’ macchiettistici ma assolutamente scusabili considerata l’assurdità della circostanza da dover fronteggiare. Ancora, la giovane Matilda De Angelis come Gabriella, Leonardo Lidi come l’amico di Giorgio, Maurizio Orlandini e un sempre straordinario François Cluzet, star di Quasi amici, che qui interpreta Jean Baptiste Toma, Presidente del Consiglio d’Europa. Le riprese sono state effettuate tra Bologna, Rimini, Riccione, Roma, Valle d’Aosta, Anzio e Malta, quest’ultima scelta per girare le scene della piattaforma, interamente ricostruita e situata all’interno della piscina a uso cinematografico più grande d’Europa.
Una storia venuta a galla già con il documentario L’Isola delle Rose, del 2010 e con il libro di Walter Veltroni L’Isola e le Rose, del 2013, ma che Sibilia ha saputo sapientemente portare sullo schermo come lungometraggio, mescolando ai fatti reali la vena comica che lo contraddistingue. Un’altra piccola perla che in questi ultimi anni contribuisce a svecchiare il cinema italiano, osando con i generi e proponendo prodotti sempre più nuovi e audaci. Basti pensare al recente Favolacce – lo stesso Elio Germano è nel cast –, dei fratelli D’Innocenzo, a Buio, di Emanuela Rossi, oppure a The Nest – Il nido, diretto da Roberto De Feo.
L’incredibile storia dell’Isola delle Rose rappresenta con minuzia quella volontà di insorgere, incapaci di conformarsi alla società moderna, dove la politica – l’allora secondo governo Leone, in piena Democrazia Cristiana – non sembra intenzionata a coltivare la creatività dei giovani, piuttosto a soffocarla. Il personaggio di Giorgio incarna perfettamente una gioventù disillusa, sola, allo sbando. Un’insofferenza e un senso di disagio verso una società ipocrita e non in grado di comprendere. Ecco che sorse in me l’idea di fare un’isola dove fosse la vera libertà, dove le persone intelligenti potessero procedere e dove gli inetti fossero cacciati è ciò che scrisse Rosa all’interno del suo memoriale Il fulmine e il temporale di Isola delle Rose. Una situazione straordinariamente attuale, che rispecchia lo stato politico e sociale del nostro secolo e quello dei giovani italiani. Il gesto del protagonista è dettato, quindi, sì dalla disperazione ma anche dal desiderio di indipendenza, di riuscire a trovare il proprio posto nel mondo. E se questo posto non si trova, allora è necessario costruirselo. La sua inventiva, a tratti sognante, è tipica dei personaggi di Sibilia, come ci ha mostrato anche nei precedenti Smetto quando voglio.
Il tema impegnato è però smorzato da un’ironia quasi grottesca, senza cadere mai nel ridicolo, ma che ad alcuni critici non è piaciuta, tacciando il film di un’eccessiva goliardia e bonarietà che tolgono spessore al tema. Certo è che si tratta di una commedia, talvolta sì sopra le righe, eppure in grado di lasciare qualcosa alla fine. Nonostante le critiche contrastanti, il ritmo a tratti discontinuo e un po’ di prevedibilità, questa favola reale e un pizzico amara sarà in grado di affascinare. Il tutto coadiuvato da un’ottima fotografia e splendide atmosfere vintage, un’estrema cura del dettaglio e quell’aria di libertà che si respira per l’intera durata.
Di nuovo, ringraziamo Netflix per regalarci prodotti di qualità, in un periodo in cui il cinema, purtroppo, ha cessato di esistere per come l’abbiamo sempre conosciuto e amato.