«Il mio richiamo a far prevalere l’interesse superiore della salute su qualsiasi altra logica o interesse di parte». Arrivano tardi le parole del Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora in merito alla vicenda che ha coinvolto Juventus, Napoli e la partita in programma tra le due squadre valida per la 3° giornata del campionato italiano di calcio. Arrivano quando, ormai, una squallida pagina della storia di questi tempi è stata già scritta.
Il riassunto dei fatti – mai come in come questo caso – appare superfluo. Il match tra i bianconeri e i partenopei non si giocherà a causa dello stop imposto dalla ASL di Napoli alla formazione di Rino Gattuso, colpita dalle positività al COVID-19 dei calciatori Zielinski ed Elmas. L’intero club è obbligato dall’ente sanitario locale a regime di quarantena, avendo riscontrato nei giocatori (e dunque nelle persone a loro strettamente collegate) la possibilità di un focolaio.
Nulla di strano, nulla di insolito, nulla che non sia già stato impiegato per casi anomali riscontrati in aziende, uffici o scuole. Nulla di anomalo, non fosse che di mezzo – stavolta – c’è il calcio. La Juventus, non appena appresa l’impossibilità del Napoli a raggiungere Torino, si affretta a chiarire la sua posizione attraverso un tweet ufficiale: Juventus Football Club comunica che la prima squadra scenderà in campo per la gara Juventus – Napoli domani alle 20:45, come previsto dal calendario della Lega di Serie A.
Giungono, poi, le dichiarazioni del Presidente Agnelli, le analisi dei giornali sportivi e non. Il coro sembra unanime, un’unica voce a favore della posizione dei bianconeri, a favore di quel protocollo stilato dalla Lega Calcio assieme al CTS e al Ministero della Salute che prevede lo svolgimento delle gare in programma anche in caso di positività registrate tra le compagini protagoniste: il rinvio non è contemplato, se una società è in grado di schierare undici titolari e due cambi pronti in panchina, la partita avrà luogo.
Sembra, dunque, emergere l’ipotesi di un cortocircuito, di un errore, a qualche livello, da parte – implicitamente si legge – della Società Calcio Napoli. E l’intoppo, in effetti, c’è, ma non è quello a cui Juventus e Lega vogliono a tutti i costi far capo e di cui, nel corso delle trasmissioni sportive serali, vogliono convincere lo spettatore. Le regole del protocollo, infatti, sono applicate al campionato in corso fatti salvi eventuali provvedimenti dalle autorità statali o locali, che è proprio quanto accaduto al club di Aurelio De Laurentiis, l’unica eccezione alle norme della Lega, l’unica discriminante che – per ragioni di salvaguardia della salute pubblica – ne annulla ogni effetto.
Disattendendo lo stop imposto dall’ASL e decidendo di volare ugualmente in Piemonte, gli azzurri infrangerebbero il regime di quarantena imposto dalle autorità sanitarie, un’eversione di carattere penale a cui – giustamente – la società non si sottopone e non sottopone i suoi tesserati.
A quanto appena descritto, va – non di meno – aggiunta la drammatica situazione che la Campania sta vivendo nel corso delle ultime settimane in merito ai nuovi contagi da coronavirus, con i bollettini quotidiani della Protezione Civile che registrano la Regione di Vincenzo De Luca in testa alla griglia per incremento dei casi positivi e il rischio, dunque, di un collasso del sistema sanitario e tutto quanto tragicamente ne conseguirebbe.
La triste vicenda si tradurrà – sul piano sportivo – nel 3 a 0 a tavolino a favore della Juventus e, in tutta probabilità, in un punto di penalizzazione ai danni del Napoli che, verosimilmente, impugnerà la decisione della Lega Calcio e porterà la partita dal campo dello Stadium ai tavoli di un tribunale. Ciò che, però, resta impresso nelle idee già provate di ciascuno di noi è quanto questa storia lascerà sul piano sociale, ossia quella velenosa sensazione di contare fintanto che la propria esistenza sia in grado di produrre profitto, denaro: gli interessi – i soldi – vengono prima di tutto, pure della salute.
Resta, anzi… manca la solidarietà che la Juventus rifiuta ai propri avversarsi, un no perentorio espresso dal Presidente Andrea Agnelli in favore di telecamere all’ipotesi di rinvio della gara. «Noi rispettiamo le regole», dichiara con il petto all’infuori e la scia di giornalisti a prendere atto dei fatti senza offrire contraddittorio. E basta già questo a fotografare l’arroganza di chi lega il proprio nome a Calciopoli ed espone, all’interno del proprio impianto, un numero di trofei nazionali maggiore di quanto la giustizia sportiva non gli conferisca.
Come prevedibile, la vicenda genera un’ingente quantità di veleno riversatasi, manco a dirlo, tra i tifosi sentitisi autorizzati a sfogare i peggiori istinti contro non solo una società che altro non ha fatto che rispettare regole in ordine di salvaguardia della salute (procedura auspicabile da quanti ancora se ne stanno fregando), ma contro un’intera città perché quando al centro del dibattito compare Napoli sembra non poterci essere altra ipotesi che trascendere. L’hashtag #Vesuvio – nel frattempo che la vicenda prova a sbrogliarsi – balza in testa a tutte le tendenze sui social network. Provate, ora, voi a immaginare il tenore dei commenti associati al vulcano, noi non daremo certo seguito a tanto livore.
Il mondo del pallone dimostra – semmai ce ne fosse stato bisogno – di aver perso il suo vecchio status di sport del popolo, la distrazione della domenica, dimostra di essere la cosa quanto più distante dal mondo reale, una bolla asettica e cinica in cui l’indotto conta più di ogni altra cosa, più di una partita, più della regolarità di un campionato, più della vita stessa di chi muove la giostra, i calciatori. Non solo il danno, non basta la paura che il male sa generare in chi se ne scopre portatore, anche la beffa di non poter procedere a difendere la propria classifica. La Serie A si attesta – con l’evento di ieri – un torneo che verrà deciso dalla sorte, una morra cinese che gioca con la salute di chi siede al tavolo dei partecipanti.
Quando ciò che è occorso al Genoa o, ieri, al Napoli appare a sconvolgere la vita di famiglie normali, con uno o più casi di positività al COVID-19 riscontrati tra i membri di quella comunità, la stessa – per intero – viene posta in isolamento, inibita a recarsi al lavoro, a fare la spesa, a incontrare parenti e amici. E, spesso, casi come quello appena descritto, si sono conclusi con licenziamenti a opera di società volte al recupero di quanto lasciato per strada in primavera e affamate di nuovi guadagni, imprese cieche di fronte al dolore in ordine del profitto da portare a casa a ogni costo.
Il pallone che continua a rotolare sui campi, nonostante nuovi positivi si registrino, sempre più, in giro per l’Italia, nonostante l’ipotesi di nuove restrizioni alla vita delle persone, alla loro libertà, nonostante storie del genere siano la narrazione di un giorno qualunque per tanti operai, nonostante i tantissimi positivi tra le file del Genoa e i nuovi casi riscontrati nel Napoli, è l’immagine di un mondo che non ci piace, che non guarda alla gente, che se ne frega di regole sportive e non, che se ne frega persino della salute, è quanto di più immorale e irrispettoso possa lanciare un segnale. È tutto quanto lo sport non dovrebbe mai essere.