Jole Santelli si è spenta ieri, a Cosenza, ad appena 51 anni. Era malata da tempo e in Calabria, la regione di cui era Presidente da soltanto pochi mesi, lo sapevano tutti. Non lo aveva mai nascosto, in fondo, abbattendo quel tabù che porta spesso a mettersi da parte, a tacere quando se ne ha meno bisogno, quando un male, anche il più terribile, costringe ad alzare la voce ben oltre le proprie forze. «Quando una persona subisce un attacco così violento alla propria vita, quando il dolore fisico si fa radicale e incomprimibile, allora quella persona ha due strade: deprimersi e farsi portare via dalla corrente, scegliere che il destino scelga per lei. Oppure attivarsi, concentrarsi e soprattutto ribellarsi», diceva. E lei, combattente per natura, aveva scelto di reagire, accettando senza indugi la candidatura propostale da Silvio Berlusconi.
A Forza Italia Jole Santelli era iscritta dal 1994. Nipote di Giacomo Mancini, storico leader socialista, e tirocinante di quel Cesare Previti tristemente celebre alle cronache, aveva seguito l’ascesa del Caimano sin dalle prime battute e con lui, fisicamente al suo fianco, aveva condotto la campagna elettorale calabra. Nella sua esperienza fuori dai confini regionali, era stata deputata per ben diciannove anni, ricoprendo diversi ruoli di spicco: prima sottosegretaria alla Giustizia (2001-2006), poi al Ministero del Lavoro (maggio-dicembre 2013), infine vicepresidente della Commissione Antimafia. Dal 2016 al 2019, invece, era stata Vicesindaco e Assessore alla Cultura di Cosenza. Eppure, soltanto quest’anno, di lei, si è fatto un gran parlare.
Il suo nome, infatti, era venuto inaspettatamente fuori all’alba delle Regionali, quando il centrodestra aveva deciso di puntare su una forzista di razza secondo quella logica tutta sua di spartirsi le poltrone nei territori più strategici. Non a caso, con una maggioranza a tratti bulgara, era riuscita a imporsi in molti dei centri più noti alle procure, come Platì (80.51%), Gioia Tauro (80%), Rosarno (79%) o San Luca (69%), tutti Comuni e Consigli Comunali spesso naufragati per infiltrazioni ‘ndranghetiste. La vittoria in tutta la regione (con il 55% dei voti) era stata netta, ma non senza polemiche, anche se oggi il finto perbenismo di cui è intriso questo Paese sembra già averle dimenticate.
La scomparsa di Jole Santelli è certamente una tragedia e nessuno – tantomeno chi scrive – ha diritto alcuno di mettervi bocca o di provare a sminuirla perché commetterebbe un peccato imperdonabile. Ciò che invece si può contestare, e anche duramente, è l’atteggiamento di chi ogni giorno racconta ai cittadini l’operato dei propri rappresentanti. Al di là del cordoglio politico – su cui, al momento, soprassediamo – a dare un certo prurito è, infatti, il buonismo della stampa che, improvvisamente, descrive la Presidente della Regione Calabria come una pasionaria, un’esponente di quella vecchia scuola partitica di cui oggi dovremmo sentire la nostalgia. Anche se quel partito è Forza Italia, anche se quella corrente di pensiero ha un’impronta strettamente mafiosa. Anche se la Calabria, terra di nessuno, ne è vittima in ogni sua zolla.
Addirittura, nel salutare Jole Santelli molti si sono sperticati in un femminismo di facciata che fa rabbrividire. La corsa all’esaltazione della sua figura di donna, di combattente, di rivoluzionaria ammirata dalle sue colleghe di FI, ma anche dalle opposizioni, infatti, stona fortemente con i fiumi di articoli pubblicati appena pochi mesi fa, quando Berlusconi, presentandola alla platea, disse di lei: «La conosco da ventisei anni, ma non me l’ha mai data». Persino la Santelli rise e per le donne, e per quell’esempio di donna che oggi si commemora, non fu un bello spettacolo.
E non fu un bello spettacolo nemmeno il modo in cui tanta Calabria, dove l’ex Cavaliere e il suo modo di intendere la politica e la cosa pubblica non sono mai morti, accolse lui e la futura governatrice. Senza sforzare troppo la memoria, le immagini dei baciamano o la claque ad aizzare le folle in loro attesa ce le ricordiamo tutti. E ce li ricordano i titoli che ai tempi rivendicavano la vittoria del malaffare in Calabria, contro l’etica trionfante in Emilia, semplificazione discriminatoria di un voto di cui non era interessato a nessuno. Un voto che, in realtà, aveva visto brindare l’astensionismo, l’unico partito veramente vincitore in Italia. Eppure, né all’epoca né oggi, si era tentata una disamina, un qualsivoglia approfondimento su una regione che è forse più a sud di quanto la geografia sostenga. Ma questo meriterebbe un’analisi a parte.
L’operato di Jole Santelli, invece, seppur inaspettatamente breve il suo mandato e al netto di una pandemia – gestita decisamente male –, è sotto gli occhi di tutti e sotto gli occhi di tutti restano le personalità di cui si era contornata. Come Domenico Tallini, che la Commissione parlamentare Antimafia – che la fedelissima di Berlusconi conosceva bene – ha bollato come impresentabile per un rinvio a giudizio per induzione a dare o promettere utilità. Come Vito Pitaro, ex Rifondazione Comunista, il cui nome è venuto fuori nelle carte dell’inchiesta Rinascita-Scott, secondo cui per la campagna elettorale si sarebbe avvalso di persone ad alto rischio. Come Giuseppe Graziano, ex generale della Forestale, poi al Dipartimento Ambiente della Regione, alla Casa delle Libertà e in UdC, più volte associato alla massoneria dopo presenze e fotografie scomode. Come Domenico Creazzo, vicepresidente del Parco dell’Aspromonte voluto dal centrosinistra ma eletto con Fratelli d’Italia. Indiscrezioni vogliono che si sia imposto grazie ai voti dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti, condannato definitivamente per falso in bilancio. La lista è ancora lunga e non ultimo vede proprio il vice di Jole Santelli, Nino Spirlì, oggi a farne le veci, di cui si parla da giorni a causa delle frasi razziste e omofobe da lui pubblicamente pronunciate e da lei difese.
Ignorare certi trascorsi o, persino rinnegarli, sembra adesso offensivo nei confronti della deontologia professionale degli operatori del settore. Al contempo, apre a una riflessione: chi ieri criticava la Presidente della Regione Calabria, anche duramente e senza lesinare insinuazioni, era in malafede o lo è oggi che una lacrima, seppur finta, è di facile approvazione? La morte, per quanto una tragedia, non è mai un alibi. E non può esserlo per chi fa informazione, per chi deve analizzare i fatti con onestà intellettuale. In fondo, lo diceva già J.D. Salinger, quando muori ti servono di tutto punto. Ma chi li vuole i fiori quando sei morto? Salutare Jole Santelli con sincero dispiacere è umano, tratteggiarne un profilo di notevole caratura politica è cattiva informazione.