Quando si parla di musical in molti storcono il naso. Canzoni improvvisate, balletti e buoni sentimenti. Poi ci sono quei prodotti che non possono che far innamorare chiunque, a prescindere dal gusto per il genere. Prodotti che emergono, anticonvenzionali, coraggiosi, innovativi e, inevitabilmente, entrati di diritto nella storia. Prodotti come The Rocky Horror Picture Show, che fa il verso all’horror di serie b in chiave comica, ponendo l’accento sulla libertà sessuale e gli stereotipi di genere. E prodotti come Jesus Christ Superstar.
Considerato un capolavoro del rock senza tempo, uscì in sala, per la regia di Norman Jewison, nell’agosto 1973 come trasposizione dell’omonimo musical del 1970 e, prima ancora, dell’omonimo doppio album. Dietro abbiamo due nomi altisonanti: il compositore Andrew Lloyd Webber (tra i suoi musical più celebri si ricordano anche Evita, Cats o The Phantom of the Opera) e l’autore di testi Tim Rice (di nuovo Evita e i classici Disney Aladdin e Il Re Leone).
Se già con il musical in teatro la portata rivoluzionaria dell’opera fu lampante, la messa in scena di Jesus Christ Superstar sul grande schermo – vincitore del David di Donatello come miglior film straniero l’anno successivo – sancì definitivamente un mutamento nel concepire il genere e il messaggio trattato. Un film fatto interamente di musica, privo di dialoghi, con tematica religiosa e una colonna sonora da brivido destinata a entrare negli annali del rock. A molti, più che coraggio sembrerebbe azzardo.
L’opera dà una lettura assai moderna dell’ultima settimana della vita di Cristo, narrando in particolare gli episodi dell’ingresso a Gerusalemme, del processo, della condanna a morte e della crocifissione. Inutile dire che le polemiche, soprattutto per l’assetto non convenzionale con cui sono sviluppati i personaggi e la trama, furono molteplici. In primis, a sorprendere fu la scelta autoriale di narrare tali vicende non dal punto di vista di Gesù bensì da quello di Giuda Iscariota. È lui, difatti, quasi il vero protagonista, umano più che mai, colui che agli occhi dello spettatore ha sia ragione che torto. Lui e il suo rapporto con Gesù, rappresentandone il conflitto umano e ideologico, simbolo delle contraddizioni dell’uomo e dei nostri tempi. Ecco perché Jesus Christ Superstar, nonostante i suoi quasi cinquant’anni, resta un’opera terribilmente attuale.
A prestare il volto a Cristo, sia a teatro che nel film, è l’iconico Ted Neeley, comparso anche in Django Unchained di Tarantino (2012) ma ormai storicamente conosciuto da tutti come Gesù e basta. Voce pulita, potente, dagli acuti inimitabili. Non è un caso che, assieme al collega Carl Anderson, sia stato candidato ai Golden Globe del ’74. Il suo Cristo non ha nulla di divino, non fa miracoli, è soltanto un uomo come tanti, portavoce di qualcosa che è più grande di lui e che non sempre riesce a comprendere fino in fondo. Ha paura, mostra tutte le fragilità, le insicurezze e i timori che il figlio di Dio, prima di allora, non aveva mai mostrato in nessuna descrizione/rappresentazione.
Nella celebre What’s The Buzz? vediamo i discepoli stargli addosso, assillandolo con domande e richieste, senza rendersi conto che al momento tutto ciò di cui Gesù ha bisogno è un po’ di riposo. Anche l’incontro con i lebbrosi esiliati, i quali lo prendono letteralmente d’assalto implorando di essere guariti, lo porta a interrompere ogni tentativo di curarli e, sentendosi sopraffatto, ad allontanarsi. Emblematica la scena di Gethsemane (I Only Want To Say). Gesù è da solo, di notte, nell’orto degli ulivi. In preda ai più disparati dubbi e pensieri, prega Dio riguardo il senso di tutto e della sua imminente morte. Morte di cui ha estremo terrore e che il suo lato umano rifiuta, sebbene non abbia altra scelta se non quella di accettare un destino già scritto. È questo che ha reso questo personaggio, forse, così accattivante e allo stesso tempo problematico al pubblico e alla comunità cristiana. Un Cristo che non trasmette sicurezza ma dubbio. Un Cristo confutabile. Un Cristo umano.
Ma se tale scrittura ha fatto sorgere varie polemiche, in egual modo o anche peggio si parla di Giuda, interpretato da uno straordinario Carl Anderson. Come già detto, è considerato lui il vero protagonista. La sua presenza è fondamentale e fa parte, suo malgrado, di questo immenso disegno divino. Le incredibili performance canore, graffianti e struggenti di Anderson, trasmettono tutta la sua sofferenza e frustrazione, come nell’iconica Heaven On Their Minds. Qui Giuda riflette sulla pericolosa piega che stanno prendendo gli eventi, sulla popolarità di Gesù e sulle possibili conseguenze da parte dei Romani nel caso dovessero sospettare una rivolta.
Ascolta, Gesù, non mi piace quello che vedo, canta Anderson, credimi, la mia ammirazione per te non è finita ma ogni parola che dici oggi viene fraintesa e ti faranno del male. Chiede di essere ascoltato, prova ad avvertirlo, invano. E le sue grida di disperazione sono così forti da penetrare nei nostri animi, fino a farci empatizzare. Per questo, nell’altra brillante performance di Judas’ Death, quando comprende di essere stato usato dai Sommi Sacerdoti e che il suo amico e maestro morirà, lancia i trenta denari ottenuti e, in preda all’angoscia, si impicca. E quale sarà l’ultimo grave affronto alla religione secondo gli ambienti cristiani? Il fatto che Giuda è mostrato, sotto forma di spirito, vestito di bianco: palesemente un riferimento alla sua presenza in Paradiso.
Insieme a loro, l’eterea Yvonne Elliman nel ruolo di Maria Maddalena. Una donna reale, l’unica davvero al suo fianco (Everything’s Alright), anch’ella vittima dei dubbi e dello sconforto di non riuscire a comprendere l’uomo di cui è seriamente innamorata (I Don’t Know How To Love Him). Un sentimento, tra i due, più terreno che mai. Ovviamente, motivo di scandalo. Tra gli altri interpreti menzioniamo anche Barry Dennen come Ponzio Pilato e Josh Mostel come l’eccentrico Erode.
Subito dopo la sua uscita, l’opera ha combattuto a lungo contro una serie numerosa di detrattori che la consideravano scandalosa, offensiva e blasfema sotto vari punti di vista. Prima di tutto, la maniera troppo contemporanea con cui è raccontata la storia, la quale inizia – in Overture – come fosse un vero e proprio set cinematografico: tutto il cast arriva per l’appunto a bordo di un pullmino, con abiti hippie e i materiali di scena che serviranno per il film. L’intera pellicola è inoltre volutamente cosparsa di anacronismi e oggetti contemporanei, come fucili, abiti e accessori (occhiali da sole), o carri armati. Compaiono persino uno stand con cartoline, un registratore di cassa e dei jet che sfrecciano in cielo, appartenenti all’aeronautica militare israeliana. Il film è stato infatti girato in Israele, nel deserto del Negev e in altre zone del Medio Oriente.
Per continuare, l’assenza di una rappresentazione esplicita della risurrezione portò non pochi problemi, così come il fatto che non fosse mostrato nulla di soprannaturale e nessun miracolo di Gesù. Quest’ultimo era considerato troppo umano e Giuda mostrato in maniera troppo positiva. Le diverse deviazioni dal testo biblico e le proteste da parte di svariati gruppi fondamentalisti cristiani ed ebraici (ebbene sì, il film fu accusato di essere antisemita per la scena in cui la folla incita la crocifissione), costrinsero, in alcuni casi e paesi, a sospendere le rappresentazioni. E in Italia, con il nostro buon vecchio Vaticano? Da noi, prima di essere distribuito, il film fu sottoposto al vaglio dell’Osservatore Romano e persino presentato privatamente a Papa Paolo VI, il quale ne restò comunque positivamente colpito, almeno secondo quanto detto da Ted Neeley in una recente intervista.
Jesus Christ Superstar è un’opera rock che mette in scena l’aspetto umano della religione, della divinità, l’importanza dell’empatia e del guardare le cose da altri punti di vista. La difficoltà del comprendere. La consapevolezza che il dubbio, così come il timore, fa parte dell’essere umano. Un film diventato cult e un’opera teatrale che ancora continua a emozionare e a essere messa in scena in tutto il mondo. In Italia proprio la scorsa primavera, da parte di Massimo Romeo Piparo, con ancora Ted Neeley e, a sorpresa, Frankie Hi-Nrg come Erode. E un messaggio di pace facendo interpretare Maria Maddalena a due donne diverse, una ucraina e l’altra russa.