Nato a Cuba il 15 ottobre 1923 e rientrato in Italia già dall’età di tre anni, Italo Calvino fu lo scrittore italiano per antonomasia, nonché uno tra i maggiori autori del Novecento, con un’opera che spaziò dai romanzi e dai racconti di guerra fino al puro sperimentalismo.
Sin dagli anni della sua adolescenza, coltivò una passione che si tradusse, in seguito, in una scrittura in grado di muoversi dalla saggistica politica a quella teatrale e letteraria, fino a dedicarsi a racconti ironici e umoristici, per passare poi a racconti impegnati ma anche, con l’avvicinarsi della Seconda guerra mondiale che sconvolse le esistenze, dalla critica sociale alla sceneggiatura dei testi teatrali e alla composizione di poesie.
L’estate in cui cominciavo a prender gusto alla giovinezza, alla società, alle ragazze, ai libri, era il 1938: finì con Chamberlain e Hitler e Mussolini a Monaco. La “belle époque” della Riviera era finita.
Fu proprio in questo terribile periodo, durante il quale iniziò a comporre poesie, testi teatrali, racconti brevi e disegni, che il suo interesse verso la scrittura si accese maggiormente. Nel 1941, si trasferì a Torino, dove iniziò a frequentare l’Università di Agraria, un ambiente culturale che lo scrittore bazzicò assiduamente e dove i movimenti di contrapposizione al regime portarono nella sua letteratura anche la politica. Nel 1944 aderì alla seconda divisione d’assalto partigiana Garibaldi, definendosi un anarchico.
La mia scelta del comunismo non fu affatto sostenuta da motivazioni ideologiche. Sentivo la necessità di partire da una “tabula rasa” e perciò mi ero definito anarchico […]. Ma soprattutto sentivo che in quel momento quello che contava era l’azione; e i comunisti erano la forza più attiva e organizzata.
L’esperienza partigiana fu fondamentale nella formazione della sua scrittura neorealista e allo stesso tempo gli diede gli strumenti per scrivere il primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno. Un libro scorrevole, arricchito da descrizioni attente dell’animo umano, soprattutto dei personaggi principali, dove le vicende furono narrate in terza persona da qualcuno che non poteva far altro che subire i fatti, le paure e i conflitti, ma che allo stesso tempo non riusciva a non farvi parte: un bambino di nome Pin. Una ricerca di oggettività, che non divenne cronaca – abbandonata successivamente da Calvino – ma che già racchiuse in sé gli elementi, che avrebbero caratterizzato la sua produzione matura, di una dimensione fantastica che lasciò intravedere la realtà sotto le spoglie del sogno.
Gli anni Cinquanta furono per Calvino l’inizio del suo periodo “fantastico”, in quanto da sempre attratto dalla letteratura popolare e dal mondo delle fiabe. Vi fu, infatti, un completo abbandono all’invenzione fantastica, con una costruzione della narrazione secondo due livelli di lettura: quello dell’ambientazione storica di immediata funzione e quello allegorico-simbolico. Un romanzo diverso volto a invitare il lettore alla riflessione e all’equilibrio in quanto non è possibile far propria una verità assoluta. Questo concetto si concretizzò nella trilogia I nostri antenati composta da Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente.
Intorno agli anni Sessanta, invece, Calvino aderì a un modo tutto nuovo di fare letteratura, un gioco combinatorio inteso come artificio. La struttura della narrazione divenne perfettamente visibile al lettore, facendo crescere in questo modo il suo grado di consapevolezza. Lo scrittore raggiunse la convinzione che l’universo linguistico avesse soppiantato la realtà e che fosse stato il romanzo stesso a giocare artificialmente con le possibili combinazioni di parole, uno stile ben vicino alla Neoavanguardia, ma che l’autore distaccò grazie al suo linguaggio estremamente comprensibile.
Italo Calvino visse una vita intensa, piena di soddisfazioni culturali e sociali, influenzata da grandissimi amici e scrittori, gli stessi amici che dopo la sua morte, avvenuta il 19 settembre 1985, fondarono il Premio a lui intitolato dedicato alle opere prime di narrativa.