È risaputo che Facebook è ormai divenuto canale di diffusione di false notizie, teorie complottiste e proteste insensate da parte di una grossa fetta d’Italia arretrata e intollerante.
Proprio tramite uno dei social network più popolari degli ultimi anni si è fatta sempre più incontrovertibile una realtà che certamente già si conosceva ma che, un po’ per vergogna e un po’ per incredulità, era difficile da riconoscere. Ebbene, la dura verità da accettare è che molti italiani andrebbero trasferiti in un gregge.
Il motivo è semplice quanto triste. Il Bel Paese versa da tempo in una situazione precaria sul piano socio-economico, con una larga schiera di politici che ogni giorno si ciba della carne dei cittadini e che, se prima lasciava loro le ossa, adesso le tiene per sé per spiluccarle. Così, il popolo ha iniziato a nutrirsi di rancore e proteste. Ci si aspetterebbe che queste ultime riguardassero esattamente il degrado sociale, la corruzione politica, le promesse mai mantenute, i diritti mai riconosciuti e tutto quello che attanaglia la nazione da tempo. Invece, le sole volte in cui si è vista traccia di qualche dissenso e manifestazione, felicemente trasmessa in TV, sono state quelle in cui persone comuni hanno voltato la faccia, criticato e denigrato altre persone comuni. Le più deboli, tra l’altro.
Basti pensare all’immigrazione che, da tempo, sembra essere il vero tumore dell’Italia, perché prima che arrivassero rifugiati in fuga dalle proprie terre sterminate, qui si stava così bene. Prima che arrivasse la manodopera dalla pelle scura, numerosi negozi e piccole imprese non erano già in via di chiusura, il lavoro in nero non era una macchia già difficile da lavare via e il tasso di disoccupazione non era alle stelle. Offese gratuite, violenza e qualsiasi tipo di atto razzista sono ormai all’ordine del giorno, alimentati da chi, dall’alto, dovrebbe invece mettere a tacere le voci dell’ignoranza. Piuttosto che chiedere una migliore gestione di una situazione così complessa, si urla all’espatrio, al ritorno di queste persone nelle polveri e macerie che una volta erano le loro case.
Per non parlare delle manifestazioni contro i diritti degli omosessuali, come il corteo tenutosi a Roma per il Family Day, mettendo in imbarazzo un intero Paese che ha visto un gran numero di cittadini lottare per negare diritti ad altri. Si è assistito a slogan, come Vogliamo una mamma e un papà e Qui per amore dei nostri figli, da parte di persone che non hanno pensato neanche per un attimo che, se si continua così, i figli degli eterosessuali e quelli degli omosessuali un giorno saranno tutti accomunati da un unico dolore: non riuscire a vedere un futuro quantomeno sereno nella propria terra.
In questi giorni è la volta di un nuovo, gravissimo problema nazionale, ossia l’introduzione del pagamento dei sacchetti di plastica biodegradabili per frutta, verdura, pesce e medicinali a un costo che va dai due ai cinque centesimi.
La norma è in vigore dal primo gennaio allo scopo di ridurre lo spreco di buste, ma le polemiche sono state impeccabili in quanto a puntualità. È impensabile, dicono dai loro smartphone di ultimissima generazione, pagare quelle buste, ma risulta difficile spiegare che l’imballaggio degli alimenti è sempre stato a loro spese, incluso automaticamente nel prezzo di quelle mele e quelle arance che adesso, per non pagarle e boicottare non si sa chi, etichettano una a una, senza imbustarle. Sempre provvisti di cellulari di centinaia di euro, i dissidenti hanno immortalato e pubblicato su Facebook la loro impresa senza accorgersi che, così facendo, hanno pagato tante buste quanti sono gli alimenti etichettati singolarmente.
D’altro canto, hanno almeno avuto il merito di evitare l’uso dei sacchetti, restituendo un minimo sospiro a un ambiente sempre più danneggiato dalla plastica e che, proprio con questa semplice iniziativa, si tenta di salvaguardare. Quegli stessi sacchetti, infatti, possono essere riutilizzati per la raccolta dell’umido ed evitare di farne uso al supermercato per risparmiare due centesimi, o poco più, costringe in ogni caso a comprarli appositamente per la differenziata.
Strano che non si sia attribuita la colpa di tale scempio agli immigrati, ma forse è ancora presto per parlare. Verrebbe quasi voglia di scendere in piazza e protestare contro il diritto di parola per persone simili, ma la parte d’Italia ancora in grado di informarsi correttamente e, soprattutto, di agire civilmente, sa che togliere un diritto è un atto vile che non equivale a migliorare le cose. Sa che le persone non vanno espatriate o emarginate, ma aiutate ad attivare il cervello prima di parlare.