Sin dall’inizio del nostro viaggio tra gli italiani all’estero, abbiamo sottolineato come il vero tema tra i problemi di questo Paese sia l’emigrazione e non – come ipocritamente vorrebbero far credere certi settori della politica piccola e mediocre – l’immigrazione che, in verità, ha funzionato più che bene per la strategia della paura che ha fatto la fortuna di qualche personaggio e del suo partito, fino a quel momento conosciuto per l’inutilità delle partecipazioni nei governi dell’ex Cavaliere e per la colossale truffa a danno dei contribuenti per i 49 milioni e gli strani accordi truffaldini con la Russia di Putin documentati da alcuni organi di informazione poi, come se nulla fosse, fatti tacere.
Una strategia, quella messa in campo da Matteo Salvini con la complicità e la subalternità di un Luigi Di Maio misteriosamente convertitosi sulla via della Lega e di un allora anonimo Presidente del Consiglio, che ha portato il Paese in pochi mesi a credere che l’unico problema fossero gli immigrati nascondendo ad arte quelli reali con talento da incantatori di serpenti.
Il recente rapporto CENSIS ha fotografato in maniera eccellente lo stato poco edificante del nostro Paese, certificando la fuga oltre confine, in particolare dei giovani, in atto in maniera significativa negli ultimi dieci anni e che nel solo 2017 è cresciuta di oltre il 226% facendo pagare un prezzo, in termini di capitale umano, molto alto ai territori del Sud.
Come ha rilevato il Prof. Giovanni de Simone nel corso dell’intervista rilasciata in apertura della nostra inchiesta, il fenomeno emigrazione infatti non interessa soltanto i cosiddetti cervelli in fuga ma anche quanti in cerca di lavoro nei servizi, nel settore commerciale, nella ristorazione e così via, un dato evidenziato anche dalla varietà di soggetti da noi intervistati.
Un’emigrazione per necessità ma anche motivata per molti da un malessere che traspare in maniera evidente anche in quella parte di popolazione con una condizione economica media che intende investire e realizzarsi al di là delle Alpi. Un clima di sfiducia che certo non contribuisce ad arginare un fenomeno costantemente in aumento e che, purtroppo, in assenza di politiche strutturali davvero innovative, di cambiamento reale e non di politiche tappabuchi approssimative senza una visione di futuro come ormai in uso da decenni da parte di governi incapaci di intercettare il domani e di fornire prospettive alle nuove generazioni, non fa ben sperare.
Un’Italia sempre più vecchia con una calo demografico tra i più alti d’Europa, un Paese fermo non solo economicamente ma in tutte le sue articolazioni, una burocrazia opprimente che scoraggia ogni iniziativa, ogni progetto, una tassazione che non favorisce nessuna delle parti, una consistente parte di prenditori più che imprenditori, una corruzione a tutti i livelli che non sorprende ormai più nessuno, accettata e giustificata come regola di un sistema.
Per l’inventore di quella strategia della paura, però, il problema dei problemi era ed è l’arrivo sulle nostre coste di poveri disperati e non quel flusso costante sempre in aumento di nostri connazionali in cerca di futuro, ovunque tranne che in Italia, le cui responsabilità vanno individuate nell’incapacità degli esecutivi avvicendatisi di attuare progetti efficienti e riforme strutturali che favoriscano il lavoro.
Al momento non sembra che l’azione del governo del cambiamento, almeno nella sua formulazione teorica, sia protesa in quella direzione per sperare in un più ottimistico rapporto CENSIS nei prossimi anni e in un recupero di fiducia capace di arrestare un’onda che, invece, sembra trasformarsi sempre più in uno tsunami.