Lunedì prossimo, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aprirà un nuovo giro di consultazioni con l’effimera speranza di offrire, finalmente, un governo al Paese. Lo stallo politico insiste.
Mandato in bianco il corteggiatore pentastellato, Luigi Di Maio, alla disperata ricerca di una dama che lo conduca al trono tanto agognato, la prima donna del PD, Matteo Renzi, dimostra quanto ancora il partito dipenda esclusivamente dalla propria volontà. Infatti, mentre il reggente Martina si dava da fare per tessere la trama di una nuova e inattesa love story che avrebbe riportato i dem in prima linea sulla scena politica nazionale, tirandoli fuori dall’oblio al quale sarebbero proiettati in caso di cinque anni all’opposizione, il Segretario dimissionario che, però, non se ne va, faceva irruzione negli studi televisivi di Fabio Fazio per svilire il significato dell’assemblea prevista per il 3 maggio, ieri, nel corso della quale deputati e senatori del gruppo hanno espresso le proprie idee in merito alla possibile nuova alleanza.
Tutto da rifare, quindi, non solo per Luigi Di Maio – che ora invoca il voto anticipato come arma di ballottaggio da giocarsi proprio facendo leva sul “no” della donzella d’occasione che non ha ceduto alle musiche dell’incantatore a 5 Stelle – ma per l’intera classe politica, Mattarella in testa.
Certo, esulta Matteo Salvini, improvvisamente relegato al ruolo di gregario non solo da Berlusconi che con forza lo tiene al guinzaglio, ma anche da quei rivali con i quali sperava di trovare una via d’uscita che avrebbe previsto un ruolo centrale della coalizione di destra nella formazione del prossimo governo. Il leader del Carroccio, magicamente riabilitato, potrà seguire le indicazioni dell’ex Cavaliere e flirtare proprio con la signora restia alla corte del giovane partenopeo, ma sempre debole al fascino dell’inciucio con il proprietario di Mediaset. E chissà che non sia la volta buona.
Che Matteo Renzi, infatti, preferisca dialogare con Berlusconi piuttosto che con Di Maio è notizia nota, e come spesso questo giornale ha scommesso, qualcosa suggerisce che, nel giro delle prossime settimane, il matrimonio, fosse anche per un governo di scopo che traghetti il Paese a nuove elezioni per la prossima primavera, si farà.
Perché non prima? Mattarella vorrebbe escludere la possibilità di vedere in ottobre la nuova chiamata alle urne, con la legge di stabilità ancora da votare, quindi per tentare di non lasciar impantanare il Paese già sotto la severa lente d’ingrandimento dell’Europa che mal guarda all’incertezza prodotta all’indomani del 4 marzo. Giugno, altresì, è un’ipotesi troppo ravvicinata, mancano i tempi tecnici per garantire il voto degli italiani all’estero, pertanto, l’ipotesi più probabile in caso di nuove elezioni slitterebbe proprio al prossimo anno. Difficile, quasi impossibile, che la situazione resti talmente bloccata da preferire lo stallo politico ed economico pur di portare gli italiani nelle cabine già in autunno.
E allora, ci si prepari a un lungo anno – almeno – di una nuova campagna elettorale, quasi certamente ancora più povera nei contenuti, decisamente più aspra nei toni, avvelenati dal gioco di strategie che ognuno ha messo in campo in questi ultimi cinquantacinque giorni all’unico fine di mettere i bastoni tra le ruote dell’avversario, piuttosto di pensare a una lista di punti in comune da affrontare per il bene dei cittadini.
Inutile illudersi, non frega a nessuno. Non frega a nessuno dei milioni di italiani sotto la soglia di povertà, non frega a nessuno di cancellare realmente la Legge Fornero e riformare un sistema pensionistico dignitoso, non frega a nessuno di proteggere la scuola e i suoi insegnanti, di dare ossigeno alle piccole aziende e combattere i grandi colossi che pagano meno tasse del più povero degli italiani, come ancora accade con Amazon e Apple.
Qualsiasi sarà lo scenario che verrà fuori dalle consultazioni di lunedì prossimo, o da nuovi incontri successivi, non solo mortificherà l’intero elettorato, fregandosene della volontà di almeno un terzo di esso, ma continuerà anche sulla scia dei provvedimenti messi in campo dal largo governo Letta-Renzi-Gentiloni, basato su alleanze improbabili e accordi di parte al limite della decenza.
In tutta probabilità, Salvini convincerà qualche democratico a schierarsi con loro – in fondo, la coalizione di centrodestra necessita di molte meno poltrone rispetto a quante non ne occorrano al MoVimento per formare un governo –, farà contento zio Silvio che vedrà scongiurarsi l’ipotesi che più pare temere – i grillini al Colle con una formazione in grado di proporre un governo, – e traghetterà le Camere verso un nuovo, più o meno lungo, periodo di leggi ad personam, di svilimento dei diritti civili, di una nuova, costante campagna elettorale, fino a un prossimo ritorno alle urne.
Se sarà ballottaggio, come crede – o, meglio, si auspica – Luigi Di Maio, si vedrà. L’ipotesi più probabile, stando alla legge attuale, è un ritorno al passato, anzi, al presente, all’oggi, all’incertezza che non offre soluzioni, ma un’unica verità: vinceranno sempre tutti! Lo stallo politico insiste. E perderemo noi ancora una volta.