La scomparsa di Gianni Minà, raro esempio di giornalista non in vendita, ha riportato ancora una volta alla luce il tema dell’informazione libera e del servizio pubblico, ancora oggi perennemente occupato dai partiti con la conseguente spartizione e l’inevitabile condizionamento che nel corso della recente storia del nostro Paese ha visto epurazioni, allontanamenti e chiusure improvvise di programmi a seconda del governo di turno indipendentemente dal colore politico.
L’ipocrisia sbattuta in faccia ai telespettatori, paganti per giunta in maniera coercitiva, costretti ad assistere attraverso le quattro reti Rai che trasmettono i tg le dichiarazioni di dirigenti della tv pubblica che sembrano ignorare il trattamento particolare riservato a Minà, tenuto lontano dall’azienda per circa vent’anni e che lo stesso, in un’intervista rilasciata a Vanity Fair nel maggio del 2007 ha ricordato: Quando nel 1994, dopo le elezioni vinte da Berlusconi, la Moratti divenne presidente Rai. Io, che ero stato candidato nel centrosinistra a Palermo e che ero stato battuto, come il giudice Caponnetto, fui ricevuto da lei. Ma non mi chiamò più. Seppi poi che la sua assistente, l’ex socialista Giuliana Del Bufalo, avvertiva i direttori di rete che non ero “persona gradita”. Non so a chi… Io, pur essendo da sempre un cattolico, stavo a sinistra, e il governo a destra. Ci può stare. Il fatto è che, dopo, sono stato allontanato anche quando governava la sinistra. Nel 1994 Giampaolo Sodano, ex direttore socialista di Rai2, mi rivelò: “Stavi sulle palle all’omone”, che era Craxi. Anni dopo mi hanno detto: “Stavi sulle palle a Velardi”, che era uno degli uomini di D’Alema. Insomma: prima ho pagato l’arroganza della destra, e poi il pentimento della sinistra di essere stata a sinistra.
Giornalismo libero da ogni condizionamento, informazione nel rispetto della verità, onestà intellettuale e coerenza pagate a caro prezzo oltre che dallo stesso Minà, con l’allontanamento dalla televisione pubblica in maniera più clamorosa, anche da Enzo Biagi con l’ormai tristemente noto editto bulgaro dell’ex cavaliere Berlusconi. Stessa sorte ma più silenziosa per altri giornalisti non allineati ai governi di turno; giornalismo verità, libero da ogni condizionamento, costato la vita al giovane giornalista-giornalista Giancarlo Siani ammazzato il 23 settembre di trentotto anni fa.
Un’informazione che si sta mostrando, in questo tempo nel quale si sta consumando una guerra molto vicina, non sempre corretta, quasi sempre faziosa, volutamente distratta sul tema della pace tanto da indurre lo stesso Minà a scrivere sul suo sito: La pace non va contrattata, non è un’opzione tra tante, la pace si abbraccia senza se e senza ma, anche a costo di essere perdenti. Per sapere qualcosa di serio e vero sui conflitti e sul mondo, ormai ascolto quasi solamente Radio Vaticana.
Un’informazione incapace di esprimere i sentimenti della maggioranza degli italiani sempre più contraria a sostenere un conflitto in nome di una difesa armata con armi micidiali e che Raniero La Valle, altro giornalista da qualche decennio tenuto alla larga da viale Mazzini e ricordato dallo stesso recentemente scomparso, in un suo editoriale sulla paura della guerra ha scritto: Anche a noi fu detto: “Vincere! E vinceremo”, come infatti accadde con armate straniere che si combatterono sul nostro suolo e dal cielo distrussero le nostre città.
Organi di informazione, tranne rare eccezioni, schierati e mai propositivi fino a rendere del tutto insignificanti e riduttivi gli appelli di Papa Bergoglio con interpretazioni a proprio uso e consumo di parti dei suoi interventi estrapolate in malafede. Tutto questo in un contesto generale che il World Press Freedom Index nella sua classifica annuale sullo stato del giornalismo in Italia per il 2022 ha visto il nostro Paese al 58esimo posto perdendo rispetto ai due anni precedenti ben diciassette posizioni, un altro primato di cui in una sana democrazia dovrebbe fare a meno.
Che dire, poi, di quelle trasmissioni definite impropriamente di approfondimento non a caso sempre con gli stessi opinionisti campioni di un giornalismo urlato, in maggioranza già ben noti autori di titoli a nove colonne dal tono minaccioso e arrogante? Qualcuno ricorda tra i presenti in dette trasmissioni i giornalisti fin qui citati? Voci discordanti anche, ma sempre disposte in conclusione al sì, però va riconosciuto che…
I soliti soloni e schierati sempre pronti a ricordare che per la televisione c’è il telecomando, per la carta stampata il mancato acquisto dimenticando che quando si parla di servizio pubblico i cittadini hanno il diritto a un’informazione corretta e libera, con più voci possibili. Dove non ci siano più epurati e giornalisti in esilio sgraditi al potere di turno, dove non ci siano più esponenti dell’informazione nominati dai partiti o movimenti che siano, un’utopia possibile in una democrazia compiuta che questo Paese, con la sua classe dirigente, ha ancora da recuperare.
Una strada lunga e tortuosa percorsa per troppo tempo a ritroso dove degenerazione politica e sociale hanno fatto la loro parte senza incontrare ostacolo alcuno, nessuna forza politica può affermare di avere la coscienza pulita.