Quando si sente parlare di una fanciulla data in sposa a un uomo più grande di lei, sembra quasi si stia leggendo un libro di storia medievale, periodo in cui non era raro che i padri usassero le loro figlie come merci di scambio per arricchire il proprio regno, o, ancora, di scorrere le righe di un racconto fantasy in cui una giovane principessa di 13 anni viene fatta sposare dal fratello maggiore con un barbaro con il doppio della sua età per ottenere un esercito che gli permetterà di riconquistare la corona persa. Eppure, risale appena a pochi giorni fa la storia di una madre che a Milano è riuscita a salvare la figlia di soli 10 anni strappando i documenti che le avrebbero permesso di prendere l’aereo, direzione Bangladesh, per sposare un cugino di ventiduenne, scelto per lei dal padre. Il coraggio di Malijla, così il nome della donna, ha fatto sì che la figlioletta scappasse da quel destino riservato a molte delle sue coetanee, quel fato che l’avrebbe mutata in una giovane moglie.
Quando si parla di spose bambine si intende tutte quelle minorenni che vengono forzate al matrimonio dai genitori. La loro presenza è molto alta nei Paesi in via di sviluppo in cui si conta che 1 fanciulla su 5 viene costretta a sposarsi. Niger, Chad, Bangladesh e Guinea sarebbero le nazioni in cui il fenomeno è più diffuso, ma comunque dati recenti hanno messo in evidenza come non sia raro nemmeno in alcuni Paesi occidentali, in primis negli USA, dove la pratica sembrerebbe legale in almeno 25 Stati, in cui non ci sono leggi esplicite che impongano un’età minima matrimoniale.
Diversi sono sicuramente i fattori che influiscono sul perpetuare di questa prassi ignobile. In primis, la colpa ricade sulla società maschilista in cui le bambine vengono cresciute: padri padroni impediscono alle donne della comunità di istruirsi e tale mancanza d’istruzione, tanto delle madri, quanto delle figlie (costrette a lasciare la scuola), sembrerebbe largamente influenzare il dilagare dei matrimoni tra uomini e piccole fanciulle. Il deficit educativo impedisce alle donne di questi luoghi di comprendere che la loro vita non deve necessariamente contemplare il matrimonio, la cura della casa, la crescita dei figli e l’obbedienza incondizionata al marito, creando un circolo vizioso in cui si ostacola la crescita economica del Paese e, di conseguenza, anche il miglioramento delle sue condizioni di vita. Per di più, a contribuire alla perpetuazione degli Early Child Marriage, come vengono definiti in ambito accademico, sono anche credenze religiose e tradizioni culturali delle collettività in cui sono diffusi.
Cancellare questa usanza atavica è estremamente difficile. Lì dove è radicata, infatti, vige una sua apparente accettazione, che impedisce addirittura di ben quantificare il fenomeno poiché tali matrimoni, essendo specialmente religiosi, non vengono registrati dallo Stato. Piccole donne di appena 9 anni vengono vendute liberamente al miglior offerente in cambio di prestigio e denaro per la famiglia, costrette docilmente a lasciare la scuola, a non vivere alcuna adolescenza, a subire stupri, a trasformarsi in quella figura materna di cui hanno disperatamente bisogno, a morire di parti che non possono sostenere, a dimenticare l’innocenza della fanciullezza per immergersi nel dolore. E se alcune riescono a sopportare faticosamente una vita fatta di infelicità e sofferenza convivendo, dunque, con la depressione, per molte il suicidio diventa l’unica possibilità (la ribellione non viene nemmeno contemplata, poiché severamente punita) per sottrarsi a coloro che agli occhi degli altri sono gli sposi, ma che per loro sono dei veri e propri mostri che ogni sera ne visitano i letti.
I dati raccolti da Unicef hanno rivelato una diminuzione del 15% del fenomeno delle spose bambine, tuttavia non si può ignorare che oggigiorno sono ben 650 milioni le fanciulle che sono spinte a sacrificare la loro infanzia sull’altare, a mettere via le bambole per tenere tra le braccia infanti in carne e ossa, a subire danni morali, psicologici e fisici a causa di quei familiari che più che al loro futuro sono interessati alle ricchezze che possono fruttare. Proprio per questo bisogna continuare a parlarne, portare luce su questa pratica oscura così da cercare in qualche modo di arginarla sensibilizzando chi non la vive direttamente e cercando di far capire a chi la subisce che l’accettazione non è l’unica strada.