La bufera che travolse i partiti con la maxi inchiesta Mani Pulite, comunque la si pensi, spazzò via forze politiche che crollarono come castelli di sabbia mettendo a nudo il sistema affaristico su cui si poggiavano ormai svuotate di ogni pensiero, ideologia e valore che ne avevano determinato la nascita in particolare nell’immediato dopoguerra.
Da poco più di un quarto di secolo, quindi, partiti e partitini si sono costituiti e riciclati a ritmo serrato, alcuni del tutto personali con il proprio nome sul simbolo, e comunque nella quasi totalità dei casi con esponenti dei vecchi gruppi che in questi anni hanno fatto parte dei governi che si sono succeduti. Una crisi, quella partitica appunto, che si pensava superata con l’avvento di forze alternative come quella di maggioranza dell’attuale coalizione in carica, che pur presentando volti nuovi, fregandosene dei principi inderogabili predicati e ripetuti come giaculatorie, ha scelto di unirsi, fare accordi, stipulare contratti, o come altro diavolo si vuole, pur di non perdere la ghiotta occasione di scalare il massimo potere. Ma questa è storia ormai saputa, risaputa e anche digerita dai soliti qualunquisti senza vergogna. Intanto, a sei mesi del ribaltamento delle posizioni, le altre forze politiche che ancora non hanno assorbito la clamorosa sconfitta cercano di ricomporre i cocci interrogandosi sul come farlo.
Silvio Berlusconi, che progressivamente ha visto ridurre i consensi, sembra il meno preoccupato: è lui e soltanto lui il padre padrone di Forza Italia – sebbene di forza ne sia rimasta ormai ben poca –, che decide in prima persona sul da farsi non contando assolutamente nulla i suoi rappresentanti in Parlamento e nel partito, come del resto è sempre stato. L’ex Cavaliere è tranquillo, sereno come appena qualche anno addietro, con i governi che si sono alternati ai quali ha sempre assicurato una stampella, certamente non del tutto gratuitamente, purché fosse garantita tranquillità alle sue aziende – come in queste ore con il via libera per il Presidente della RAI –, sempre con garanzie ben chiare per le sue televisioni. Parola del governo del cambiamento. D’altronde, si è scomodato il Presidente del Consiglio in pectore Matteo Salvini recandosi personalmente da colui che potrebbe cedergli quanto prima lo scettro del comando del centrodestra.
Diversa, invece, è la catastrofe in casa del Partito Democratico dove le troppe anime massacrate dall’incapacità politica di Matteo Renzi – o forse dall’eccessiva capacità di perseguire una perversa strategia di rottamazione che almeno fino a ora non permette di intravedere l’obiettivo di creare una forza centrista come da più parti ipotizzato – hanno lasciato fare grazie anche alle ipocrite opposizioni interne.
Ho letto giorni fa un post – appello di un vecchio e noto militante del PCI prima e del PD dopo – che esortava i giovani e meno giovani attivisti a riaprire le sezioni e a tornare a parlare di politica per riprendere un cammino in cui molti hanno creduto e lottato per anni. Appello che mi sarei aspettato dagli attuali esponenti di rilievo, ex ministri, ex presidenti del Consiglio o parlamentari, e invece no, alle sezioni, ai luoghi di dibattito si è preferita la grande sfida delle cene. Non è gossip, purtroppo è realtà, chi preferisce quella tra i notabili, chi si smarca e chi invece accetta pur presentandosi quale elemento di novità come Nicola Zingaretti, che le cronache riferiscono aver organizzato una cena in trattoria, che fa tanto di sinistra, con i rappresentanti di alcune categorie della società civile, idiozia in risposta ad altra idiozia. Fortuna che il Presidente del PD Matteo Orfini – che, in verità, mi è stato sempre difficile comprendere quali particolari benemerenze o qualità avesse per essere stato scelto per quella carica, se non il chiamarsi anche lui Matteo – ha l’asso nella manica: cambiare il nome e lo statuto del partito. Di fronte a cotanto ingegno, però, ritengo oggi un affronto non aver ripresentato alle recenti elezioni un deputato come Razzi che di sicuro avrebbe avuto una proposta geniale per la rifondazione del partito offrendo un suo contributo anche dalla sponda opposta.
Un’idea di rilancio di se stesso in vista delle prossime regionali, invece, l’ha avuta il Presidente della Regione Campania De Luca che ha imboccato la strada vincente non solo in Italia – quella su cui cammina Matteo Salvini –, ovvero quella dell’immigrazione, null’altro che l’immigrazione, dimenticandosi che le situazioni che ha denunciato vanno combattute in un tutt’uno con lo Stato chiedendo al Ministro dell’Interno di occuparsi di questi temi: della gestione dei centri di permanenza degli immigrati, dell’ordine pubblico e della tranquillità dei cittadini.
Con un Partito Democratico a brandelli, non tanto per la solenne recente débâcle ma per il vuoto che lo abita e per non aver ancora messo sotto processo politico il responsabile delle continue sconfitte dopo le inaccettabili sfide al Paese e dopo scelte scellerate che hanno riportato indietro quei lavoratori dei quali il PD si è detto sempre garante, quale strategia futura per la prossime regionali ed europee si intenderà dunque adottare? Rifare le solite coalizioni perdenti con il variegato mondo della cosiddetta sinistra? Una scissione al prossimo congresso e ognuno per la propria strada, immagino, gradita all’arrogante ex Segretario?
Nei prossimi mesi tutti gli scenari saranno possibili, sebbene il più probabile sembri l’avanzata in Europa dei movimenti di destra, con il nostro Paese che potrebbe essere uno dei punti di forza di questa ondata di ubriacatura generale da cui, tra l’altro, potrebbe essere travolto anche a causa di un incosciente e irresponsabile atteggiamento di quella parte di italiani cui forse andrebbe spiegato qualche elemento di storia relativamente più recente.