Si potrebbero dire un sacco di cose. Davvero. Si potrebbero e si dovrebbero dire un sacco di cose riguardo a un artista come Jimmy Liao, nato a Taipei nel 1958 e autore di una trentina di libri che hanno venduto cinque milioni di copie tra Oriente e Occidente. Si potrebbe parlare dei premi a cui è stato candidato e che ha vinto nelle più svariate nazioni, ci si potrebbe incantare e ci si incanta davanti alla maggior parte delle sue tavole, riconoscendo, sempre, una mano delicatissima e pronta al gioco dei piccoli particolari. Ci si perderebbe e ci si perde.
Jimmi Liao è questo, d’altronde. È capace di attirare il lettore e farsi seguire per pagine e pagine – i suoi quasi non sono dei semplici albi illustrati: assomigliano più a dei romanzi – dirigendone i passi in silenzio, senza che questo se ne accorga, fino a farlo risvegliare con esplosioni da mondi altri, piccoli squarci inaspettati di immagini fantastiche. Probabilmente è un mago. Ci si potrebbe soffermare su ogni singolo particolare di una personalità simile e ricercare nella poliedricità delle soluzioni esplorate – chiunque abbia voglia di girovagare per il suo sito ufficiale, senza farsi intimorire troppo dalla lingua, può apprezzare anche le gigantesche installazioni urbane o alcuni dei cortometraggi tratti dalle sue opere – il vero motivo di un’attrazione così grande per la pagina successiva di uno qualunque dei suoi libri. Ma non oggi, non adesso.
Adesso è il momento di sprofondare, con il sano egoismo di chi vuole solo condividere ciò che ha letto, in uno dei suoi albi più famosi, Turn Right Turn Left, pubblicato nel 1999 ed edito da pochissimo in Italia per i lettori di Terre di Mezzo Editore con il titolo Incontri Disincontri. È il momento dell’incanto.
Quella di quest’albo è una storia che inizia in autunno, il 6 ottobre per la precisione, e vede sin da subito due protagonisti: un uomo e una donna.
Lei vive in un vecchio edificio, in una zona residenziale alla periferia della città. Ogni volta che esce, non importa quale sia la destinazione, gira a sinistra. / Lui vive in un vecchio edificio, in una zona residenziale alla periferia della città. Ogni volta che esce, non importa quale sia la destinazione, gira a destra. / Le loro strade non si incontrano mai.
Prima ancora che riusciate a pensare di immaginare una svolta nel racconto – che racconto sarebbe altrimenti? – siete lì, a guardare con gli occhi della città due persone che vi sembra di conoscere da sempre, lui suona il violino, lei traduce romanzi, e non siete più voi ma, attraverso i testi scarni e le immagini caleidoscopiche, siete nella storia, e una voce, un diario quasi a ogni inquadratura nuova, definisce il tempo atmosferico.
19 novembre. Nella luce invernale le ombre si allungano.
10 dicembre. È spuntato il sole, ma la stanza è ancora umida.
Il tempo passa, mentre i due vivono come vive ciascuno di noi, senza conoscere o vedere persone magari vicinissime. Lui gira sempre a destra. Lei gira sempre a sinistra. Ma a questo punto, anche se nessuno credeva davvero che non si incontrassero mai, vi stupite lo stesso di fronte a una delle poche inquadrature tondeggianti disegnate da Liao: i due si incontrano alla fontana del parco e si riconoscono, subito e senza esitazioni. Per forza di cose, il pomeriggio diventa meraviglioso e l’inverno non è più così triste, anche se sul finire della sera scoppia un temporale.
Il ritmo quasi lo sentiamo sulla pelle, l’avevamo vista allungarsi la nuvola nera sul prato, e ci rendiamo perfettamente conto della fretta con cui è necessario scambiarsi i numeri e correre via, separarsi con un foglietto e una promessa in tasca, ovviamente uno a destra e una a sinistra. E quasi dimentichiamo che questo è un libro di incontri e disincontri e che, quindi, la vita è anche piena di imprevisti, come quando si spezza il filo di un aquilone che stringi tra le mani.
Non c’è testo, non ci sono parole per l’immagine dei foglietti di carta mangiati dall’acqua, per l’inchiostro sbavato, non sappiamo che dire, il silenzio si impone e cominciamo ad aspettare, in questa città affollata, brulicante eppure così malinconica. Siamo condannati al paradosso dell’osservatore, vorremmo urlare, indicare, ma non possiamo. Come in ogni fiaba costruita bene, aspettiamo aiutanti magici, ma qui la fiaba ha perso terreno. Non ci sono interventi esterni, nella vita vera tutt’al più si può sperare con ottimismo di rincontrarsi e, intanto, respirare una tristezza umida dalle cose, dalla città che si smonta e cambia, mentre il tempo passa, mese dopo mese, come da annotazione vigile della voce fuori campo.
Il tempo. In questo albo illustrato il tempo è il nostro, come nostri e di tutti, sono i dettagli di una vita passata a camminare su strade a cui non pensiamo, a salutare gatti e accarezzare bamberottole con cappelli di feltro, attenti, partecipi, ma in fondo sempre un po’ tra le nuvole, sintonizzati quasi costantemente sulla voce che sentiamo dentro e sul desiderio struggente di ritrovarci nella persona giusta, l’unica, e Liao lo sa bene. Le immagini delicatissime e colorate ci si accomodano attorno, e per questo i dettagli sconvolgenti non sembrano strani, ma la giusta spiegazione delle cose. Vi siete mai chiesti come funziona un ascensore? Chi scrive, dopo questa lettura, non ha più nessun dubbio.
Ma se il tempo, la città e la folla ci appartengono, cosa sarà di ciò che è solo dei protagonisti? Dove finiranno? Camminano sugli stessi passi senza saperlo, le foglie fuori dalla finestra sono le stesse e del loro incontro non rimangono che due foglietti sbiaditi. Non esistono più immagini a inquadratura circolare, quasi quasi sembra necessario ipotizzare che non sia successo nulla, o forse no?
Il ritmo di questo piccolo gioiello in chine e acquerelli non può essere raccontato fino in fondo, il respiro delle ultime pagine è cosa solo del lettore e della carta e quindi non si cercherà di spingere oltre una descrizione che sarebbe solo riduttiva e, a conti fatti, inutile. Che nessuno se lo faccia sfuggire, perché una storia sussurrata così è intarsiata di piccole domande, nascoste una dentro l’altra e tutte lucide dell’umidità cittadina. Perché fanno sempre lo stesso percorso? È così che funziona la vita oggi? E noi? Ogni quanto noi cambiamo strada? C’è qualcuno che ci aspetta, ma che sta proseguendo su una linea parallela alla nostra e rischia di non incontrarci mai? Davvero esistono delle fontane e delle giostre che rendono il mondo un po’ meno squadrato, più tondo e morbido, scivoloso nelle possibilità che concede, o sono solo strade dritte? Possiamo crearla noi la nostra curva o siamo uno dei volti nella folla, che si nota certo, magari per un cappello buffo, ma poi si dimentica? C’è una seconda possibilità di riprenderci l’occasione persa? E soprattutto, come andrà a finire?