I recenti episodi che hanno interessato alcuni parlamentari del partito di Giorgia Meloni, uomo dell’anno 2023, come titolato dal quotidiano diretto da Mario Sechi – responsabile dell’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio per appena sei mesi, poi catapultato alla direzione di Libero – hanno riportato alla mente alcune farneticanti affermazioni del mai scomparso dalla scena politica Silvio Berlusconi quando, al termine di un incontro bilaterale con il premier spagnolo Zapatero, affermò «di essere stato e di essere di gran lunga il migliore Presidente del Consiglio che l’Italia abbia potuto avere nei 150 anni della sua storia». O quelle del suo aspirante clone Matteo Renzi: «Di Silvio Berlusconi porto un ricordo: quello di uno statista, ma anche di un uomo capace di rapporti umani». La stessa definizione, statista, utilizzata dall’ex Cavaliere in merito a Bettino Craxi, paragonato perfino ad Alcide De Gasperi. Autocelebrazione, sopravvalutazione di se stessi e certezza di impunità, garantite da una visione del potere particolarmente tipica di una politica che confonde il governare con il comandare o, per dirla con il Marchese del Grillo, perché io so’ io e voi non siete un c…
Della qualità scadente di questa classe dirigente abbiamo in più occasioni colto le ricadute sociali, gli aspetti che investono ogni attività attinente al bene comune, i riflessi sulla collettività, quasi sempre accettati passivamente e causati da inadeguatezza, impreparazione e ignoranza che in altri ambiti avrebbero trovato risposte e provvedimenti immediati al fine di non compromettere il destino di aziende e attività di qualsiasi genere.
C’è da chiedersi perché per ricoprire ruoli da parlamentare o di amministratore pubblico, non sia il caso di pretendere adeguati e idonei requisiti oltre che un’informativa esaustiva sulla persona. Pur vero che siamo di fronte a un Parlamento nominato dai partiti e non eletto dal popolo, una legge elettorale unanimemente considerata pessima, ma di comodo, per una maggioranza trasversale. Il tutto rispondente a un sistema di controllo delle segreterie di partiti svuotati di ogni logica democratica, dove il sistema affaristico è sempre di casa, con una protervia maggiore e la certezza di coperture anche ai massimi livelli per non compromettere equilibri fin troppo precari.
I silenzi e le minimizzazioni dell’uomo dell’anno sull’indagata e palesemente in conflitto di interesse Ministra del Turismo, i cachet d’oro del sottosegretario alla Cultura, il rinviato a giudizio sottosegretario alla Giustizia; le dichiarazioni in stile donzelliano, il busto del duce in casa della seconda carica dello Stato fino al pistolero di San Silvestro soltanto deferito ai probiviri, le bugie e le negazioni rese dalla stessa presidente di Fratelli d’Italia sono l’esatta rappresentazione di quel modo di intendere la politica che ha già rivestito ruoli di responsabilità nei governi fallimentari del mancato statista di Arcore.
Riesce difficile, quasi impossibile, azzardare paragoni tra alcune figure che hanno attraversato la storia più recente di Italia (seppur con tutte le riserve e giudizi di merito) con quelle dei nostri giorni. Cercare, ad esempio, una personalità assimilabile all’uomo del ponte oggi e dei muri e delle offese del Sud ieri; delle felpe per tutte le occasioni, dei rosari sventolati e delle adunate di odio di Pontida fino ai divieti di sbarchi di poveri disgraziati in mare tra i silenzi dei pentastellati nella disastrosa gestione del ministro di Pomigliano e dei berlusconiani di comodo. La pietas dovuta a chi è passato a miglior vita (?), ma significativamente ancora presente nelle nostre, ci consiglia di non rinfrescare la memoria agli italiani sul lungo e infausto periodo della massima degenerazione sociale, politica e morale le cui caratteristiche gelosamente incarnate dalla maggioranza e non solo stentano a restare unicamente nei ricordi della seconda Repubblica.
L’inadeguatezza è la sola responsabile della disaffezione e della distanza di quella consistente percentuale di connazionali iscritta al partito dell’astensionismo, vero vincitore di ogni competizione elettorale e che ancora trionferà fin tanto che le forze politiche, ormai svuotate dalle ideologie, dall’orgoglio di appartenenza a una società basata su valori condivisi, resteranno nello stagno delle convenienze affaristiche e delle manovre tappabuchi. Tentativi di nuove proposte ancora troppo deboli e autoreferenziali lasceranno che questo sistema continui a irrobustire radici affette da marciume. Un processo irreversibile.
La realtà che è davanti ai nostri occhi necessiterebbe, invece, un coraggioso atto di volontà politica per cominciare a invertire la rotta, un primo passo per costruire un percorso alternativo credibile in mancanza di una proposta forte che faccia breccia nell’elettorato. L’unità, se pur inizialmente strategica, di tutte le forze democratiche e antifasciste a evitare che restino ancora alla guida del Paese per altri vent’anni. In alternativa si continui ciascuno a coltivare il proprio orticello rimandando a tempi migliori il cambiamento da tutti invocato soltanto a parole.