Vi sarà forse capitato di vedere, nella scena di un film o di una serie tv americana, manifestanti agguerriti fuori alle cliniche e ai consultori che importunano le donne e soprattutto le giovani che tentano di entrare nelle strutture per abortire. Quelle scene ci paiono assurde e probabilmente poco realistiche, ma in realtà sono molto più diffuse di quanto immaginiamo. Negli Stati più conservatori degli USA, ma anche negli Paesi europei dalla insistente presenza della destra conservatrice, persistono le pratiche che tentano di ostacolare l’aborto intimidendo le donne in numerosi modi possibili, manifestando, minacciando e intimorendole in nome di una morale che nega le libertà, anche quando teoricamente garantite dallo Stato.
La diffusione di questo fenomeno, invisibile per molti ma penoso per alcune, rende fondamentale la nuova legge spagnola che definisce reato intimidire le donne che desiderano abortire. Nei giorni scorsi, infatti, il Senato di Madrid ha approvato una modifica al Codice Penale pensata per tutelare il diritto all’aborto delle donne che rischiano di imbattersi in numerosi ostacoli mentre tentano di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza. Con la nuova modifica, chiunque molesti o intimidisca una donna con l’obiettivo di impedire l’aborto rischia fino a un anno di reclusione. Vale lo stesso anche per chi tenta di intimidire gli operatori sanitari.
Questa legge si è resa necessaria per due motivi. Il primo, il più evidente ma anche quello di cui si parla di meno: la persistenza – e l’insistenza – degli attivisti pro vita che si appostano nei pressi delle cliniche preposte all’IVG e manifestano la loro disapprovazione con cartelloni, riproduzioni di feti di plastica e talvolta anche minacce. Un rapporto del 2018 ha registrato che l’80% delle donne spagnole che hanno abortito ha subito molestie di qualche tipo e il 66% si è addirittura sentito minacciato. Queste associazioni non sono presenti solo in Spagna, ma in gran parte dei Paesi in cui l’aborto è riconosciuto come diritto. Il secondo motivo, invece, per cui questa legge è fondamentale è anche lo stesso che sta alla base delle tante difficoltà che le donne che desiderano abortire incontrano: lo stigma.
La discussione morale intorno all’interruzione volontaria di gravidanza è probabilmente il motivo per cui ancora esistono medici obiettori di coscienza, la maggior parte delle strutture preposte non riesce a garantire il servizio e molte donne non si sentono ancora libere di scegliere per il proprio corpo. Perché, in effetti, non lo sono. Anche negli Stati in cui l’aborto è legale e riconosciuto come diritto – tra cui l’Italia – non esistono reali tutele e garanzie, non esistono strutture prive di obiettori su tutto il territorio, e l’aborto diventa un diritto solo di chi può permettersi di viaggiare, di perdere giorni di lavoro, di non nasconderlo a chi ha intorno. Insomma, un diritto per le persone privilegiate, e un problema per chi, invece, è già marginalizzato.
L’obiettivo delle associazioni pro vita, che in modo un po’ contraddittorio si dicono a favore della vita dei feti a discapito di quella delle donne, tenta da anni di imporre dei passi indietro sui diritti di scelta della donna. E, purtroppo, in alcuni casi ci riesce. Uno degli esempi che potremmo fare, solo il più recente ma certamente non l’unico, è quello dell’Oklahoma, lo Stato americano che appena due settimane fa ha approvato una legge che vieta quasi del tutto l’interruzione volontaria di gravidanza. È difficile, però, credere che l’unico motivo per cui si continua a ostacolare l’aborto sia una semplice questione di ideologia. Non che il patriarcato non c’entri, ovviamente, ma è più che altro un mezzo, invece che il fine ultimo della limitazione di libertà femminili.
Sopperire al calo demografico che molti Paesi stanno affrontando diventa più importante del rispetto della volontà delle persone. L’invecchiamento della popolazione, infatti, rappresenta un problema con cui iniziamo già a fare i conti, ma non è certamente ostacolare l’aborto la soluzione. Ciò che in questo modo si ottiene è una privazione, per le donne, della loro libertà. I loro corpi, considerati meri mezzi riproduttivi, diventano di proprietà della collettività, che impone loro di partorire figli indesiderati pur di abbassare leggermente l’età media.
Questa strategia, ampiamente criticata e terribilmente inutile, è evidentemente funzionale alle logiche demografiche: vietare l’aborto in qualunque caso tranne di pericolo di vita della madre ci suggerisce che, se da un lato la vita del feto conta più dei diritti e della libertà – che fanno la vita – della donna, al contrario la sopravvivenza di una donna non può essere scambiata per la vita di un feto perché altrimenti si perderebbe l’occasione di avere altre gravidanze. Si perderebbe un’incubatrice. E, dunque, tutte le associazioni che spacciano le loro proteste per interesse sfegatato per la vita degli embrioni, per l’anima di quei bambini mai nati, non hanno in realtà grande interesse per la vita di quel singolo, potenziale, individuo, ma per la quantità di individui che una donna può garantire. Una pura mossa strategica.
Quella che stiamo descrivendo – e vivendo – è una realtà spaventosa, che sembra (quasi) uscita da un romanzo di Margaret Atwood, una realtà che in modo freddo e calcolatore si serve di una morale applicata come legge per risolvere i problemi sociali di un mondo in cui se le nascite calano un motivo c’è, e non è certamente la contraccezione o l’aborto. È sempre a questa che si torna, dopotutto. Esclusi i luoghi in cui si nega l’IVG attraverso la legge, dove invece essa è legale si trova comunque un modo per negarla attraverso l’imposizione più o meno rigida della morale. Che si tratti delle associazioni religiose che minacciano le donne fuori ai consultori, dei medici obiettori che rendono l’aborto irraggiungibile per molte, o semplicemente del giudizio collettivo che fa sentire alle donne il peso di una decisione del genere, in nessun luogo, da nessuna parte del mondo, il diritto all’aborto è realmente garantito.
Ciò che serve, dunque, non è solo rendere l’aborto libero, ma garantire un diritto che esiste solo in teoria ma è spesso assente nei fatti. Leggi che vietano di ostacolare l’aborto, leggi che impongono alle strutture ospedaliere di avere un certo numero di medici non obiettori, e magari anche interventi culturali che modifichino la persistenza della retrograda morale che causa l’obiezione di coscienza sono passi fondamentali per riuscire a garantire il diritto all’IVG. Un diritto che, di fatto, oggi (neanche in Italia) non esiste, non davvero, perché non c’è modo di garantirlo a tutte.