Un evento da non perdere quello di Claude Monet: the Immersive Experience, grande mostra internazionale a Napoli fino al 20 ottobre 2021. Dopo le tappe di Barcellona, Bruxelles, Milano e Torino, la società belga Exhibition Hub, specializzata nella progettazione e produzione di mostre interattive e multimediali, ha scelto proprio i luoghi partenopei e, più precisamente, la suggestiva location della Chiesa di San Potito. Un’architettura barocca che da sola è già spettacolo, eretta nella prima metà del Seicento da Pietro De Marino e situata nel cuore del centro storico, in via Salvatore Tommasi, poco distante dal MANN, Museo Archeologico Nazionale. Parte dei proventi della mostra saranno per l’appunto devoluti per il restauro della chiesa.
Come già successo con la Van Gogh e la Klimt Experience, l’esposizione coniuga arte e tecnologia, utilizzando le più recenti tecniche di mappatura digitale per dare vita a un’interpretazione del tutto nuova e suggestiva. In questo caso, alla scoperta della vita e delle opere del capostipite dell’Impressionismo. Circa trecento dipinti dell’artista prenderanno vita su oltre mille metri quadri di schermi e, grazie a visori e realtà virtuale (VR), tale esperienza si rivelerà un vero e proprio risveglio dei sensi, un’immersione a 360° nell’arte di un genio, il quale ha dato vita a una delle correnti artistiche più note e amate della storia dell’arte.
È proprio a Monet, infatti, che l’Impressionismo deve il suo nome, quando, nel 1874, espose il suo dipinto Impression. Soleil Levant nel corso di una mostra indipendente a Parigi, presso lo studio del fotografo Nadar, considerata la prima vera mostra impressionista, fatta da artisti moderni, dall’atteggiamento fortemente antiaccademico rispetto alla cultura tradizionale che privilegiava un’arte ancora aderente alla realtà e a una certa grazia classicista. Oscar-Claude Monet (Parigi, 1840-Giverny, 1926) si recò nella capitale francese per perseguire la sua passione pittorica e conoscere i maggiori artisti che a quel tempo vi si erano dati appuntamento per il Salon. Rifiutati, Degas, Cézanne, Boudin, Pissarro, Berthe Morisot, Renoir, Sisley e altri decisero di rispondere a tono, organizzando una propria mostra per presentare ugualmente le loro opere. Ed è lì che il critico d’arte Leroy, guardando il quadro di Monet – un semplice scorcio mattutino del porto di Le Havre, avvolto nella nebbia –, disse che impressione era il termine che si addiceva meglio poiché era realizzato in maniera rozza e sommaria.
Ma per Monet l’impressione non era altro che l’attimo fuggente, l’istante unico e irripetibile. Si era reso conto che qualcosa nell’arte stava cambiando. Aveva scoperto Colazione sull’erba (1863) di Manet, opera che non rispondeva più ai dettami accademici a causa della presenza di un nudo femminile senza contesto storico o mitologico. E poi quell’uso del colore, l’assenza di prospettiva. Un vero scandalo. La rivoluzione estetica di Monet – e degli altri impressionisti – partì quindi da qui, dalla volontà di scardinare le vecchie, rigide regole privilegiando l’aspetto percettivo. Voleva rappresentare non la realtà oggettiva bensì la sensazione che la vista di un’immagine gli produceva, ciò che uno stimolo esterno suscita nell’io. Per farlo non serviva più la prospettiva né la linea di contorno o il disegno preparatorio. Solo colore puro, pennellate rapide e brevi, rigorosamente en plein air, per immortalare il prima possibile quell’attimo.
Ed ecco che attorno ai visitatori e sotto i loro piedi prendono vita Papaveri (1873), Il Parlamento di Londra (1904), La Stazione di Saint-Lazare (1877), o La passeggiata (1875), e sembrerà di essere davvero lì, accanto alla moglie Camille e al figlio Jean su quella collina. Un momento di felicità familiare fermato per sempre, nonostante il velo di tristezza negli occhi della donna, forse a presagire la malattia che l’avrebbe di lì a poco colpita.
Monet era altresì noto per le sue cosiddette serie, opere nelle quali uno stesso soggetto viene ripreso in più tele, di modo che solo la luce è l’elemento mutevole. Come La Cattedrale di Rouen, realizzata circa quaranta volte in diversi momenti della giornata. Lo stesso soggetto ma mai lo stesso dipinto poiché, cambiando la luce, ne cambia anche la percezione.
E che dire delle sue Ninfee – ne dipinse circa duecentocinquanta – alle quali dedicò la sua ultima parte di vita, tra il 1890 e il 1899. Le aveva nel suo spettacolare giardino di Giverny, una proprietà acquistata dall’artista nel 1883 e trasformata in un paradiso naturale immerso nel verde e ricostruito fedelmente nella mostra. Tra stagni, fiori e ponti, Monet trovava ispirazione per i suoi quadri, dove spiccava un altro elemento fondamentale per gli impressionisti: l’acqua, espressione perfetta del concetto di relatività, di costante cambiamento e specchio riflettente di luci e colori. Per usare le parole del critico Gustave Geffroy, è a Giverny che bisogna avere visto Claude Monet per potere dire di conoscere lui, il suo carattere, il suo amore per la vita, la sua intima natura.
Un viaggio extrasensoriale di trentacinque minuti, dove colori e giochi di luce la fanno da protagonisti. Per i forestieri in vacanza, per i partenopei che si godono le bellezze della propria città, per gli estimatori dell’arte ma anche per chi non si interessa solitamente alle mostre. Claude Monet: the Immersive Experience saprà coniugare i vari bisogni, riuscendo a sorprendere anche i più scettici. Lo stesso creatore dell’evento, Mario Iacampo, ha detto: «Lungi dal voler sostituire i musei, il cui ruolo di trasportatori di storia e cultura rimane essenziale, questa mostra intende riunire un pubblico più ampio, non necessariamente avvezzo a questi luoghi, e offrire così un metodo nuovo e complementare per avvicinare chiunque all’arte».