Importare infermieri è come mettere un cerotto su una ferita aperta. Affidarsi alla soluzione della ricerca di operatori sanitari provenienti da paesi dove vige un alto tasso di povertà ed emarginazione e un grande divario in classi sociali significa non avere un piano lungimirante per il Servizio Sanitario Nazionale. Significa aprire le porte al lavoro sottopagato.
Soluzioni frettolose, tra cui il reclutamento di infermieri dall’India, vengono proposte come rimedio per tappare le falle di un sistema in difficoltà. Ma è davvero questa la strada giusta per tutelare il nostro Servizio Sanitario Nazionale? Affidarsi a personale infermieristico proveniente da paesi altri potrebbe apparire come una risposta pragmatica alla crescente carenza di operatori sanitari, ma l’impressione è quella di voler semplicemente nascondere la polvere sotto il tappeto.
Le cause della mancanza di infermieri sono molteplici e includono anni di risorse insufficienti per la sanità pubblica, stipendi poco competitivi e condizioni lavorative difficili. Piuttosto che affrontare queste radici profonde, si preferisce importare lavoratori rischiando di trasformare il settore in un bacino di manodopera precaria.
Questa strategia minaccia di incentivare una politica del lavoro al ribasso che scoraggia i giovani diplomandi dal percorrere una carriera in ambito infermieristico. L’adozione di una forza lavoro estera, inoltre, se non supportata da adeguati processi di integrazione e formazione, rischia di compromettere la qualità del servizio sanitario stesso. La domanda sorge spontanea: perché non migliorare benessere e condizioni contrattuali del personale infermieristico italiano rendendo la professione più attrattiva? Dal 2020 al 2023 oltre 40mila infermieri si sono cancellati dall’albo. La portata del fenomeno e il trend in crescita rappresentano indubbi segnali di allarme di abbandono della professione infermieristica.
Gli infermieri indiani – e più in generale gli infermieri stranieri – vengono spesso percepiti come una risorsa abbondante e disposta ad accettare salari più bassi. Questa strategia, però, è insostenibile nel lungo periodo perché si basa su una concezione del lavoro come merce da ottenere al prezzo più basso possibile. Oltre ai costi economici e sociali, vi è una questione etica da considerare: l’Italia, attingendo a pieno regime dalle competenze di altri paesi, non contribuisce forse a sottrarre risorse preziose a sistemi sanitari già fragili, come quello indiano?
Per garantire ancora il diritto alla salute è necessario investire di più, aumentando gli stipendi e migliorando le condizioni di lavoro per rendere la professione attrattiva. Solo attraverso interventi strutturali si potrà affrontare con lungimiranza la sfida della carenza di personale senza cadere nella trappola del lavoro sottopagato e precario. La sanità italiana non può più permettersi di navigare a vista. Occorre un cambio di rotta, capace di restituire dignità e valore agli infermieri.