Uno studio di coorte sull’intera popolazione di una provincia italiana ha valutato l’incidenza di eventi avversi gravi potenzialmente correlati al vaccino (PVR-SAE) anti-COVID.
Da gennaio 2021 a luglio 2022, sono stati estratti tutti i decessi e i ricoveri dovuti a diverse malattie cardiovascolari, embolia polmonare e trombosi venosa profonda dai dati ufficiali del Sistema Sanitario Nazionale e selezionati 14 esiti in base alla frequenza e alla gravità clinica da un elenco prioritario di potenziali eventi avversi di particolare interesse prodotto dalla Brighton Collaboration and Coalition for Epidemic Preparedness, Innovation Partnership, Safety Platform for Emergency Vaccines, nella loro analisi secondaria degli eventi avversi gravi riportati negli studi clinici randomizzati di fase 3 dei vaccini Pfizer e Moderna negli adulti.
Lo studio è stato eseguito secondo la Dichiarazione di Helsinki e il protocollo è stato approvato dal Comitato Etico della Regione Emilia-Romagna. Gli autori non dichiarano conflitti di interesse e – è importante sottolineare – non hanno ricevuto finanziamenti esterni.
Per studio di coorte si intende un tipo di ricerca che fa parte degli studi osservazionali. È molto rigoroso ed è la modalità corretta per calcolare tassi di incidenza e di mortalità. A tal fine, vengono presi in considerazione individui che presentano caratteristiche comuni e che hanno come unica differenza tra loro l’esposizione o meno al fattore di rischio. Il gruppo viene osservato per un periodo di tempo prestabilito al termine del quale si analizzerà la presenza o assenza dell’esito atteso.
I dati vengono raccolti tramite la documentazione clinica che deve essere accurata e precisa specialmente se si sceglie una strada retrospettiva come è stato fatto in questo specifico caso. Durante il follow-up, 5743 persone sono morte e 2097 sono state ricoverate in ospedale per PVR-SAE. Ma il dato più importante è che i soggetti vaccinati (259.821) non hanno mostrato un aumento del rischio di morte per nessuna causa (non Covid o qualsiasi PVR-SAE) rispetto ai non vaccinati (56.494). Questi risultati sono coerenti tra generi, classi di età, tipi di vaccino e stato di infezione da SARS-CoV-2 e non variano nei modelli aggiustati per età, sesso, infezione da SARS-CoV-2 e comorbidità selezionate.
Nella popolazione infetta, qualsiasi dose di vaccino è stata associata a una minore probabilità di morte e PVR-SAE. In conclusione, la vaccinazione COVID-19 non è stata associata a un aumento della mortalità o a un’incidenza selezionata di eventi avversi gravi potenzialmente correlati al vaccino. Gli autori riferiscono che saranno garantite altre ricerche per valutare la sicurezza a lungo termine dei sieri vaccinali.
Come ogni nuovo intervento preventivo, infatti, i vaccini COVID-19 richiedono valutazioni approfondite dell’efficacia e della sicurezza basate sulla popolazione. Numerosi studi sul campo hanno confermato l’efficacia della maggior parte dei sieri circolanti per controllare la letalità di SARS-CoV-2, ma pochissimi studi di coorte controllati che valutano la sicurezza del vaccino sono pubblicamente disponibili.
Questa analisi, che segue e amplia due ricerche precedenti, include tutte le persone residenti o domiciliate nella provincia di Pescara al 1 gennaio 2021, di età pari o superiore a sei anni, al fine di confrontare la mortalità e l’incidenza complessive di PVR-SAE tra i soggetti che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino COVID-19 rispetto ai non vaccinati. Complessivamente, 56.494 soggetti non erano vaccinati (17,9% della popolazione), 15.832 (5,0%) hanno ricevuto una sola dose di vaccino, 51.684 (16,3%) hanno ricevuto due dosi e 192.305 (60,8%) hanno ricevuto tre (184.092) o quattro (8213) dosi.
L’età media, così come la prevalenza della maggior parte delle comorbidità e PVR-SAE, differisce sostanzialmente tra i gruppi: coloro che hanno ricevuto tre o più dosi erano 12,5 anni più vecchi, in media, rispetto ai non vaccinati e hanno mostrato una maggiore prevalenza di ipertensione (16,9% vs 7,5%, rispettivamente), diabete (6,4% vs 3,1%), CVD (7,7% vs 4,3%), BPCO (3,7% vs 2,6%), malattie renali (3,7% vs. 1,0%), cancro (6,0% vs. 3,2%) ed episodi passati di PVR-SAE (4,5% vs. 2,6%; tutti p < 0,05). Al contrario, coloro che hanno ricevuto almeno tre dosi hanno mostrato il tasso più basso di infezioni da SARS-CoV-2 (24,8% contro oltre il 33% in tutti gli altri gruppi).
Durante il follow-up, 5743 soggetti sono morti per qualsiasi causa (1,82% della popolazione). I soggetti infetti erano in media più giovani rispetto ai non infetti (42,9 anni vs 50,7 anni, rispettivamente) e mostravano un tasso di mortalità inferiore (1,11% vs 2,18%). La mortalità complessiva per tutte le cause è, dunque, significativamente più alta tra gli individui non vaccinati rispetto a quelli che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino (4,23% vs. 1,29%, rispettivamente). Il tasso medio mensile di decessi è stato di 2,26 × 1000 individui tra i non vaccinati e 0,97 × 1000 tra i vaccinati (con almeno una dose).
La mortalità complessiva è simile in tutti i gruppi vaccinali nel campione infetto (compreso tra lo 0,39% e lo 0,53%), mentre varia ampiamente nel gruppo non infetto. In quest’ultimo, la mortalità è stata sostanzialmente inferiore tra i soggetti che hanno ricevuto tre o più dosi (0,70%) rispetto ai gruppi che hanno ricevuto solo una (5,70%) o due dosi (6,65%), probabilmente riflettendo la selezione in questi gruppi di soggetti che sono morti prima di poter essere vaccinati ulteriormente. Ciò sembra essere confermato dalla percentuale sostanzialmente più elevata di decessi precoci nei gruppi prazialmente vaccinati rispetto agli individui non vaccinati.
Quando le analisi sono state ulteriormente stratificate, non sono state osservate differenze sostanziali tra i generi, mentre nella popolazione anziana la differenza assoluta di mortalità tra individui vaccinati e non vaccinati si è ampliata, con un tasso complessivo del 19,1% per i non vaccinati ma del 3,63% per coloro che hanno ricevuto almeno una dose. Per quanto riguarda i tipi di vaccino, il tasso di mortalità più basso è stato osservato tra i soggetti che hanno ricevuto due diversi sieri (0,41%).
Le analisi multivariabili hanno ampiamente confermato i risultati univariati. In tutti i gruppi, i maschi hanno mostrato una maggiore incidenza di PVR-SAE, la stragrande maggioranza dei quali è stata registrata nel gruppo più anziano. Per quanto riguarda la mortalità per tutte le cause, la più bassa incidenza di PVR-SAE è stata osservata tra i soggetti che hanno ricevuto due diversi vaccini (0,26%).
È interessante osservare che i risultati sono omogenei per la popolazione infetta, l’incidenza di diversi esiti, tra cui la morte e il PVR-SAE totale, è sostanzialmente più alta tra i soggetti non infetti che hanno ricevuto una o due dosi di vaccino, rispetto a quelli che hanno ricevuto tre dosi in più. Questa scoperta controintuitiva può essere spiegata, almeno in parte, dal bias di selezione. In ogni caso, e soprattutto, anche tra individui non infetti, il confronto complessivo, che include tutti i soggetti che hanno ricevuto almeno una dose, non ha mostrato alcun aumento dell’incidenza di alcun risultato tra i soggetti vaccinati rispetto ai non vaccinati.
A oggi, sul tema, questo è lo studio di coorte controllato con il follow-up più lungo e il primo ad aggiustare le analisi per comorbidità multiple e stato di infezione che probabilmente ha ridotto il pregiudizio di classificazione errato relativo alla definizione di decessi COVID-19 e non COVID-19 basati esclusivamente su un criterio temporale. La conclusione è chiara e i risultati coerenti.
Nei prossimi anni verranno sviluppate ulteriori ricerche per valutare la sicurezza a lungo termine dei vaccini COVID-19. Ritengo che l’informazione, in ambito sanitario, debba essere argomentata e affrontata in questo senso. Ovviamente, la ricerca continuerà perché la scienza si mette sempre in discussione. I cretini, mai.