È difficile stupire gli accaniti lettori di thriller. Dopo un po’, le indagini perdono di mordente, i moventi degli omicidi diventano scontati e già visti, gli indizi disseminati nel libro, più che suscitare la pelle d’oca, suscitano sbadigli. Accade, dunque, spesso che gli scrittori ripieghino sull’efferatezza e la morbosità dei crimini nel tentativo di tenere alta la tensione. Franck Thilliez non ne ha bisogno. Il suo nuovo lavoro si intitola Il Sogno ed è uscito per i tipi di Fazi lo scorso luglio. Un romanzo che, pur non privo di qualche difetto, stuzzica la curiosità del lettore, costringendolo a mantenere sempre elevata la concentrazione.
Il Sogno si muove nella zona d’ombra tra il thriller e l’horror, con qualche pennellata di paranormale. Il caso è la sparizione di quattro bambini nell’area dell’Alta Francia. Che le sparizioni siano per la verità rapimenti è presto rivelato dal ritrovamento, coincidente a ogni nuova scomparsa, di uno spaventapasseri vestito degli abiti, ormai laceri e sporchi di sangue, indossati dai ragazzini al momento del sequestro. I volti degli spaventapasseri sono maschere mostruose disegnate sopra sacchi di juta. L’aguzzino dei bambini, soprannominato Freddy dal protagonista del cult horror Nightmare on Elm Street, pone sul capo di ciascun deforme bamboccio una parrucca di capelli veri: i capelli dell’ultimo bambino rapito. L’indagine di polizia arranca e ristagna in una sede d’eccezione, un ex manicomio trasformato in caserma e soprannominato da tutti Vedova Pazzia.
A tracciare il profilo psicologico del rapitore e potenziale killer seriale dei ragazzini è Abigaël Durnan. La psicologa è nota in tutta la Francia per il suo talento: è uno di quei personaggi pubblici legati ai casi di cronaca nera che si vedono apparire spesso anche in tv e sui giornali, perché gli spettatori sono attratti come mosche dalle morbose bizzarrie delle vicende che segue e perché hanno cominciato ad affezionarsi a lei e alla sua particolarissima condizione. Abigaël soffre di una gravissima forma di narcolessia il cui effetto collaterale più grave, la cataplessi (il corpo della donna si immobilizza e si irrigidisce, mentre lei resta cosciente e prigioniera della sua carne) le ha causato più volte incidenti che le sono quasi costati la vita. Per impedire gli attacchi, Abigaël ricorre a una terapia durissima con un farmaco psicotropo che, preso in dosi massicce, altera la sua memoria e le fa vivere episodi allucinatori.
Questi sono gli elementi che Thilliez sceglie per imbastire la sua trama. Ciascuno di essi contribuisce a creare un’atmosfera opprimente, nebulosa, folle. L’aspetto più promettente del volume è il modo in cui lo scrittore sceglie di servirsene per giocare con i canoni del genere e mettere alla prova il lettore, in un esperimento metanarrativo quasi sempre ben riuscito. Il libro si apre, in effetti, con una nota all’interno della quale veniamo avvisati della mancanza del capitolo 57. Quel capitolo semplicemente salta e la storia prosegue con qualche dettaglio cruciale in meno. Per poterlo leggere, i lettori dovranno scovare un codice cifrato durante la lettura e andarlo a digitare sul sito dell’editore italiano (Fazi) dove, prontamente, compariranno le pagine mancanti. L’elemento metanarrativo sta nel fatto che la protagonista stessa condurrà, a un certo punto, una serie di ricerche proprio su un libro che sembra avere un po’ troppo a che fare con il caso di Freddy. Anche le sue indagini prevederanno un salto nella tana del Bianconiglio, la navigazione nelle nere acque del Deep Web.
L’amore per i codici cifrati e indecifrabili, per gli indizi lasciati furtivamente al lettore, tradisce l’ammirazione dell’autore per il padre del giallo: Sir Arthur Conan Doyle. Se, però, Sherlock Holmes arrivava alla verità grazie alla sua indiscutibile capacità deduttiva, alla sua straordinaria intelligenza e al supporto dell’infallibile Dr. John Watson, Abigaël Durnan è un’eroina travolta dai marosi dei suoi incubi, incapace di distinguere la realtà dal sogno e, per questo, inesorabilmente sola. Non solo non può fare affidamento su alcuno, ma comincia a dubitare persino di se stessa e di quello che vede. La sua ostinazione nell’applicare il metodo scientifico, solidamente retto dall’osservazione empirica, viene semplicemente considerata follia. E, siccome il romanzo prende in considerazione il punto di vista di Abigaël, anche il lettore comincerà a diffidare dell’attendibilità del narratore e a cercare indizi per conto proprio.
Contribuisce a creare questa sensazione di squilibrio, di intangibilità, la struttura del romanzo: gli eventi non sono narrati secondo la loro successione cronologica. Al contrario, si dipanano in un’oscillante alternanza di flashback e flashforward che culla il lettore in una specie di dormiveglia infernale, l’inquieto torpore della protagonista che diventa a poco a poco anche il nostro degno compagno di viaggio.
Impossibile non menzionare, nell’opera di Thilliez, le influenze tratte dal cinema: il già citato Nightmare fornisce al romanzo il nome per il suo serial killer e rimanda alla dimensione onirica nella quale si giocava tutta la pellicola, continui sono anche i riferimenti a Inception, soprattutto per quanto riguarda i sogni “matrioska”, dai quali sembra impossibile districarsi (tant’è che sul finale di Inception il dibattito resta ancora aperto e accorato). Abigaël, inoltre, incapace di affidare alla sua memoria gli sviluppi del caso, prende a tatuarsi sulla pelle le scoperte salienti, come faceva il protagonista di Memento.
Il Sogno è senza ombra di dubbio un thriller che si legge tutto d’un fiato e che rende attivamente partecipe il lettore nell’indagine. Il suo difetto più grande, però, sta nel non assecondare fino in fondo il suo più grande pregio: a un certo punto, è come se, invece di farci addentrare nelle profondità inaccessibili del labirinto da lui allestito, Thilliez decidesse di cavarcene fuori per mano attraverso il sentiero tracciato per i turisti. In questo modo subordina alle esigenze della narrazione lo slancio sperimentale che rende Il Sogno un thriller stupefacente.
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