Il berlusconismo viene elegantemente definito dalla Treccani come un movimento di pensiero, un fenomeno sociale e di costume. Detto in parole più realistiche, una visione liberistica dell’economia e della stessa politica e, in termini ancora più terra terra, un movimento del mono-pensiero che ha attecchito con estrema facilità sulla medio-borghesia diventando ben presto fenomeno di malcostume.
Diversi gli intellettuali, tra i quali Montanelli (certamente non di sinistra), che nei primissimi anni dell’avvento di colui che fu egli stesso il fenomeno previdero la lunga durata non solo del protagonista ma del berlusconismo stesso, il tutto supportato da un’ubriacatura generale con conseguente degrado umano, sociale e politico – unico caso in Europa – e un Paese ridicolizzato sulla scena internazionale. Ogni innamoramento, tuttavia, in quella che amo definire politica mediocre, ha punte elevatissime di consenso e una fase calante, come nelle favole, quando si scopre che alla fine non c’è il solito e vissero tutti felici e contenti.
Questa nostra amata nazione ha ciclicamente bisogno di innamorarsi non di un progetto politico, di una visione della società o di un sogno di futuro, bensì di un uomo, del primo leader che capita purché mostri apparentemente gli attributi, una guida che sappia sparare frasi a effetto e che risponda non ai temi principali che dovrebbero interessare maggiormente gli italiani – il lavoro, la giustizia, la corruzione, la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta –, ma il fenomeno migratorio, per il quale l’Italia risulta il terzultimo su diciotto Paesi europei per numero di rifugiati e al quinto posto come cittadini stranieri.
Dal cilindro, questa volta, è uscito un coniglio usato, un leader di una forza politica già al governo per oltre un ventennio, particolarmente specializzata in diffusione di odio e razzismo e che, per grazia ricevuta, dopo aver ottenuto una discreta affermazione elettorale, ha saputo calamitare simpatie da chi per anni ha detto peste e corna ampiamente documentate, avendo spergiurato fino all’ultimo di non fare accordi mai con nessuno e in particolare con la Lega.
Un leader da decenni impegnato in politica che è stato in grado di cancellare d’un tratto ruberie e allegra amministrazione delle casse del partito piene di danaro dei contribuenti ma, soprattutto, bravo a strumentalizzare le paure, il razzismo innato di molti italiani e, ancor più, con una grande capacità intuitiva, afferrando al guinzaglio quell’armata un po’ eterogenea fatta di uomini e donne prevalentemente del Sud che nel precedente articolo ho definito a rimorchio di una Lega con poco più del 17%.
È, dunque, il salvinismo figlio del berlusconismo? In parte sì, sebbene, bisogna dargliene atto, abbia saputo meglio cogliere quelle caratteristiche proprie degli italiani, quel facimme ammuine anche se alla fine l’obiettivo non viene raggiunto, un po’ come è stato per l’unica legge ancora in vigore sull’immigrazione che, oltre alla firma di Gianfranco Fini, porta il nome di quel senatore condannato per truffa e padre padrone della Lega Umberto Bossi.
Ancor più marcato il linguaggio, l’annuncio eclatante, il #chiudiamoiporti per quella nave con seicento migranti a bordo tra gli applausi dei soliti non sono razzista ma e lo sbarco a Catania dopo appena ventiquattro ore di 900 tra uomini, donne e bambini nel silenzio del novello duce ministro dell’Interno.
Quella parte ondivaga dell’elettorato, ieri con l’ex Cavaliere, oggi divisa tra la Lega e i pentastellati – che anche in buona fede ha riposto fiducia nelle forze che hanno saputo meglio vendere promesse e speranze – si è trovata poi, come gli elettori dei 5 Stelle, al guinzaglio proprio di quella forza politica che più delle altre ha incarnato il peggio del ventennio e seminato odio nei territori che hanno premiato i seguaci di Beppe Grillo. Ma quanto potrà durare l’inganno?
In quanto a coerenza, va dato atto al Vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno di star mantenendo le promesse elettorali, almeno in termini di annunci, nel silenzio e nella piena collaborazione di un ministro grillino.
Quali saranno gli scenari possibili, dunque?
Un governo per l’intera legislatura se si riuscirà a portare a casa anche un quarto di quanto previsto dal contratto (ovviamente costituito anche dal 50% di quel reddito di cittadinanza promesso);
una durata breve della legislatura in caso di uscita dal letargo dei 5S e una presa di coscienza della subalternità effettiva alla Lega, riconoscendo di essere inconsapevolmente parte di un gioco politico perverso con una grande regia ancora molto ma molto attiva;
una scissione del MoVimento 5 Stelle per salvare almeno l’ala più “ideologizzata” – i cui esponenti già da qualche parte hanno lasciato incarichi istituzionali – e del Presidente della Camera, visibilmente in grande imbarazzo, di cui va ricordata, ad esempio, la posizione livorosa e ostile nei confronti dell’Amministrazione Comunale di Napoli, oggi improvvisamente ammorbidita. Potenza degli eventi o capacità di prevedere i terremoti?